E dopo aver inforcato i miei occhiali rossi e bianchi (ebbene sì, sono miope ed astigmatica, per non farmi mancare nulla), mi trovo di fronte a questo foglio bianco, che, ogni volta si presta – senza ma e senza se – a farsi riempire.
Il ticchettio dei tasti di questa tastiera mi infastidisce, anche se sono della generazione “e” (electronic), non mi sono ancora abituata.
Riflettiamo, ogni tanto è giusto fermarsi e riflettere, pensare e dare la giusta collocazione ad ogni avvenimento, e riflettere oggi, dopo aver inviato cinquanta Curriculum, ha un altro valore.
O meglio, ha un valore il mio curriculum e con esso le mie conoscenze e capacità, oppure – come troppo spesso sento dire – non hai quel cognome, non sei amica di quella tal persona? La sfida dei prossimi giorni sarà quella di non arrabbiarsi se pochi (o forse nessuno) mi risponderà, io, il mio dovere di giovane squattrinata senza lavoro, l’ho fatto. E proseguirò. Non mi fermo, non mi sono mai fermata, quando l’ho fatto ho dovuto digerire un boccone amarissimo.
E sempre in campo lavorativo siamo, forse ha ragione l’esponente del PdL a dire che il precariato ha una valenza formativa ed educativa? Per me è distruttiva, ma facendo rima…
Nei momenti di serenità, o quando ne ho l’occasione, ho piacere a guardare indietro e vedere com’era la Chiara di anche solo cinque o sei anni fa. Non ero io, non avevo questa consapevolezza, avevo già diverse ferite, ma ammetto che fatico a riconoscermi. Ho voluto dare il merito di questa maturazione all’Università, ma non tanto per quello che è in sé, ma per quello ha fatto nascere e sbocciare in me.
Ho intrapreso il percorso universitario, ed è corretto ammetterlo, non pienamente convinta. Le sfide, le difficoltà da affrontare, senza parlare, ma semplicemente ponendosi dinnanzi a me, hanno iniziato a far crescere una Chiara nuova, che piano piano iniziava a capire cosa voleva e soprattutto perché. In primis, non volevo essere la solita ragazzina che quando parla non ha nulla da dire, e che prende per buono tutto quello che le viene detto, così ho affrontato gli esami di diritto e di politica, tutti gli altri erano invece una scoperta, in quanto, definiti professionalizzanti.
Ottimo, “ti stai creando il futuro”, mi dicevo e così alle lezioni di metodi e tecniche prestavo attenzione, mi immaginavo (perché spesso l’assistente sociale è donna), una donna che ha lo spirito della pulzella d’Orleans e che ogni giorno affronta i problemi della “gente”.
Non abbiamo, noi studenti, mai avuto modo, di comprendere appieno, quanto il banco sia un bellissimo letto di bambagia, tant’è che quando un professore, quello che sarà il mio relatore, ha avuto l’onestà intellettuale di farci esempi e – nonostante tutto – presentarci il lavoro dell’assistente sociale come uno dei più belli, io dal primo banco (per via della miopia), mi sono commossa.
Ho voluto ringraziarlo, non per ruffianeria, ma perché finalmente avevamo avuto a che fare con qualcuno che ha avuto la decenza di dirci che la realtà dei servizi non è solo pagine e pagine di libri, ma che è caos, che noi saremo in una giungla e che nulla sarà facile, ma la passione sarà quello che ci accompagnerà.
Ecco, sul finire dei tre anni, pronta per il tirocinio, avevo la sicurezza di aver preso il corso giusto, e volevo affrontare tutto con una luce nuova negli occhi. La luce è stata subito smorzata quando non ho avuto modo di poter essere affiancata da un’assistente sociale, ancora oggi, anelo di poter vedere all’opera un professionista, forse perché…troppa grammatica non aiuta se non è accompagnata dalla pratica.
Sono stati quattro mesi duri, durissimi…soprattutto perché oltre il danno anche la beffa, io volevo fare tirocinio presso gli Uepe, ed invece, in una Onlus per diversabili. Tutto il contrario.
E se l’esperienza insegna, mai giudicare, sì perché io in quel momento avevo giudicato male, sono stati quattro mesi, duri, ma che nel mio cuore hanno un significato importantissimo. Poi da quattro diventano otto, ebbene sì, il lavoro. Con i ragazzi che oramai avevano fiducia, i genitori che ne avevano forse di più, ma sotto Natale, come regalo ricevo il licenziamento: “le ragazze come lei rubano il lavoro!”.
Ah, ecco, in una Onlus una ragazza che ancora non ha la Laurea in mano ruba il lavoro, che smacco, che sofferenza “e se questo è il volontariato, figuriamo il resto della realtà!”, pensai.
Non ho la risposta, non ho avuto modo di sperimentare altro, quindi resto nel limbo dell’immaginario, senza certezze, in compagnia del mio senso di inutilità.
Senza lavoro, senza stipendio, ma ora ho la Laurea, neanche appesa al muro ti consegnano la pergamena dopo anni, e che cosa? Dovrei essere soddisfatta?
Sì, del mio operato sì, di tutto il resto no!
Sento tanti dare la colpa al momento di crisi, non c’è lavoro, non c’è spazio, ma caspita, siamo il futuro…dicono anche quello, ma se io non inizio a gettare delle basi solide, domani che cosa garantisco?
Quindi come canta Ligabue “ci sono solo quattro farfalle…un po’ più dure a morire”, ma il titolo della canzone è “il peso della valigia”, sono quelle farfalle lì, che io, come altri giovani ci portiamo dietro. Vorrebbero respirare, e fare quello per cui hanno studiato chi avvocato, chi medico, chi infermiera, chi elettricista, chi web designer.
Ma (e so che con ma non si inizia) voglio aggiungere ancora una cosa, i futuri medici e così tanti altri “futuri” sapranno cosa andranno a fare, così anche le persone che gli stanno attorno, io invece spesso lotto perché la maggior parte delle persone che incontro non sanno cosa fa e che cos’è un’assistente sociale, io, porto solo una spiegazione teorica, non pratica, la fortuna non l’ho avuta, ed anche questo è frustrante, com’è frustrante tutto il resto.
Il tuo paese che ti costringe ad andare via, l’essere giovane – siamo nati negli anni sbagliati – lo dicono anche i sociologi, vivremo come i nostri nonni nel dopo guerra (ma non c’è la guerra!), c’è apatia, c’è arrendevolezza. E’pensare non poter pensare che l’indomani vedrò realizzati quei piccoli sogni che scrivevo sul diario segreto (ma che la mamma leggeva!).
E’ grave vedere che sul giornale, un nonno, si offre come nonno sitter! Ma i nonni, non dovrebbero essere su di una panchina ad “insegnare il mondo” come canta J.ax?
Ed i bambini? Dovrebbero ridere ed i loro genitori non temere perché non sanno come fare per arrivare alle fine del mese.
Forse…ci penserà un’assistente sociale?!