lunedì 31 ottobre 2011

Persone con disabilità ed il mondo che circonda tutti.

Parto con delle domande.
Una persona con disabilità chi è?
La disabilità cos'è?
La dignità cos'è?
Siamo davvero diversi?
Abbiamo tutti accesso alle medesime cose / opportunità in egual maniera?

Sono ancora una volta arrabbiata, rattristata, disgustata ed impotente di fronte ad un rifiuto che una persona, nonché mia amica, ha ricevuto.
Passi il rifiuto per una dimenticanza nella compilazione di una domanda, si possono lasciar passare tanti motivi di rifiuto ma, non è accettabile che una persona debba venir esclusa perchè ha una disabilità.
Perchè è "mancante". Io su questo ho scritto la tesi e voglio tenere vivo il dibattito.

Per uno stage di quattro mesi in Spagna, perchè devo essere esclusa? Forse non ho le capacità richieste, può essere ma, hanno elogiato il voto di laurea (quindi quelle competenze le ho), no, ma non sono perfetta - appunto "mancante" - per gli standard che la società dell'illusa perfezione cerca.
Questa non è integrazione, questa non è inclusione, questa è discriminazione, questo è dimostrarsi ancora chiusi al "diverso" (e lo metto fra virgolette perchè si deve sempre partire dal presupposto che siamo persone!).
Perchè non andare incontro a questa diversità e cercare di unire quello ognuno di noi può dare?

Nuovamente mi riallaccio alla storia di questa ragazza. Partecipare a questo stage (il suo sogno, il suo desiderio, il suo diritto), col papà che si offre di accompagnarla a sue spese, perchè non può partecipare? Perchè questa "cosa" era da predisporre prima che il progetto partisse, due anni fa, e che a quel tempo l'UE non ha pensato a questo particolare.
Questo è escludere, questo è discriminare.
Fa male, le fa male e fa male a tutti coloro i quali si trovano nella sua situazione e si vedono negati i diritti solo perchè "mancano" o perchè, quando si progetta, non si guarda il mondo a 360°.

Spero che le barriere, della mente e non, vengano eliminate presto. Voglio un mondo che non speculi sulle differenze ma che ne faccia un punto di partenza.

Chiara

venerdì 28 ottobre 2011

Il disastro ligure cosa ci insegna?

Il bilancio di vite umane è arrivato 7. Sette cuori che si sono spenti di fronte alla forza della Natura.
Già, la Natura. Ma cos'è? E' tutto quello che abbiamo intorno, i quattro elementi: acqua, aria, terra, fuoco, che spesso dimentichiamo di quanta potenza abbiamo.

Siamo così presi da noi stessi, dalla tecnologia che deve superare limiti che spesso neanche immaginiamo, siamo assoggettati dalle logiche della globalizzazione che dimentichiamo il piacere di alzare lo sguardo ed incontrare l'altro, scordiamo quanto importante sia rispettare i ritmi naturali. No, i limiti vanno sempre superati, resistenza al sonno, resistenza all'alcool, ed infine, sfidando le leggi della Natura.

La partita, spesso, ha un vinto ed un vincitore. La X sulla schedina  non piace a nessuno. Facciamo sempre il tifo per il presento vincente, sottovalutando l'avversario ma, quando l'avversario capisce che può farcela, ecco che accadano le catastrofi.
La Natura vince, ci sovrasta e noi, spesso e volentieri, le abbiamo dato una mano.

"Restiamo Umani", Vittorio Arrigoni concludeva così i suoi reportage da Gaza. Bene prendo in prestito le sue parole, ed invito tutti a restare umani. Cerchiamo di capire cosa realmente è importante, quanto possiamo spingerci e quando è il momento di dire: basta!
Accorgersi di non voler superare il limite non è bloccare il progresso, il progresso può essere costruito anche senza invadere spazi dai quali non possiamo più uscire.

Le città coinvolte nel disastro sono senza luce, senza comunicazioni, senza trasporti. Le persone sono senza casa, senza affetti ma, nonostante questo, devono lottare per poter tornare alla normalità. Ecco dove la Natura ha fatto scacco matto. Perchè non c'è luce nel 2011, perchè la terra frana e non possiamo più viaggiare?
Siamo ospiti della Natura, ogni anno, vi sono episodi di questo genere.
Ricordo, recentemente, la tromba d'aria che ha colpito la mia zona, il Biellese, dove i volontari liguri vennero qui per aiutare, adesso siamo noi ad andare là.
Ricordo i problemi che la Dora ha dato nel Torinese, i volontari con i sacchi di sabbia per poter placare la furia del fiume.
Ed ancora ricordo il Tevere a Roma, non solo qualche giorno fa, quando altri due uomini sono morti.

Qualche anno fa, qui nel Biellese, erano gli assistenti sociali a tirarsi su le maniche e lavorare a favore di chi non aveva più nulla perchè inghiottito dall'acqua, adesso sarebbe auspicabile che la comunità tutta si attivasse per supportare la Liguria, e dopo, pensare come fare per evitare tragedie di questo tipo. Prevenzione parole d'ordine, può esserlo anche in merito alla Natura? Pensiamoci.

Restiamo umani, rispettiamo la Natura...ha dimostrato molto volte quanto sia forte.

Chiara

giovedì 27 ottobre 2011

Castrazione chimica, pena di morte...soluzione finale, o soluzione per ripartire?

Questione ambigua, controversa e soprattutto delicata.
Voglio ripetere che questo blog è uno strumento che uso per riflettere e non per propagandare il mio pensiero, tanto meno voglio avere ragione a prescindere.

Per iniziare il mio "pensiero sociale" prendo, da "Italia salute.it", la definizione di castrazione chimica: "La castrazione chimica e' un tipo di castrazione, solitamente non definitiva, provocata da farmaci a base di ormoni".

Dunque farmaci, che addormentano la libido per tutta la durata dell'assunzione, quando, il soggetto interessato smette di prendere il farmaco e gli ormoni, l'efficacia smette. Non sono cose che invento ma che ho letto, quando il dibattito era acceso su questo argomento.
Viene da chiedersi, quindi, quanto sia efficace questa soluzione? Prendere un soggetto, sottoporlo ad un trattamento definitivo per eliminare il problema.
Così la pena di morte, hai ucciso? Adesso tocca a te, così mai più ucciderai.

Mi sembra troppo facile, troppo semplice, troppo sbrigativo.
Quanto è utile nascondere il problema, anzichè analizzarlo?
Quando giova alla società tutta prendere (e ringrazio J-Ax per la parafrasi che andrò a fare) il "mostro", dargli un "colore" e gettarlo via. Come per magia non c'è più la persona, non c'è più il problema; ma è risolto?

Io, credo fermamente nel lavoro sulla relazione senza farmaci, senza interventi così drastici.
Non nascondo che per determinate patologie siano utili i farmaci, ma che non sia l'unica via da percorrere, anche. Un farmaco con una terapia relazione, certo questo sì, ma quando si parla di patologie conclamate e riconosciute come tali. Voglio dare un valore alla relazione, voglio credere nel cambiamento, voglio credere al supporto psicologico e sociale, voglio credere che, il passato di una persona possa incidere, ma così anche l'intervento sul presente, sull'ambiente.

Voglio credere che, chi commette un reato non debba essere preso ed archiviato, ma supportato durante e dopo la detenzione, e se emerge una patologia psichiatrica, bene, che vengano attivati tutti gli interventi necessari, ma che si basino, in primis sulla relazione, sull'aiuto e sulla fiducia. 

Spazi di ascolto per le vittime e per chi ha commesso un reato.

Concludo riportando le parole di Lino Rossi dopo che diverse professioni come psicologi, psichiatri e criminologi hanno detto "no" alla castrazione chimica: «Perché? La castrazione - spiega Lino Rossi, psicologo e criminologo, docente di Psicologia giuridica all'Università di Modena e Reggio Emilia, che sta lavorando proprio alla definizione del profilo psicologico del pedofilo - è una questione non tanto chiara. Da una lato provoca un temporaneo abbassamento dei desideri sessuali, dall’altro rende il soggetto più aggressivo. I dati - continua Rossi - provengono da una ricerca condotta in California e Canada, dove viene praticata la castrazione chimica. Sul piano clinico va premesso un fatto: chi abusa esprime un disturbo psicologico e non patologico, la pedofilia non è una malattia».

Chiara

martedì 25 ottobre 2011

L'università apre le porte della "casa più spiata d'Italia"

Il Grande Fratello oltre ad essere un reality che occupa il tempo di chi, con interesse, lo guarda, permette anche di muovere riflessioni.

Ieri, insieme ad amiche e colleghe, ho appreso che una nuova concorrente è una studentessa di Servizio Sociale. 
Voglio ribadire, prima di proseguire, che ogni scelta dev'essere libera e non condizionata ma, almeno credo, debba essere ponderata.
Non voglio assolutamente giudicare la ragazza che è entrata nella casa soprattutto perchè non so chi sia, non la conosco, ma posso riflettere sulla sua scelta, anche grazie alle "indagini" svolte dalle mie colleghe che frequentano lo stesso Ateneo della ragazza in questione.

Parto dal presupposto che se un ragazzo frequenta l'università lo fa con un motivo serio, con convinzione e dedizione, non può prendere l'università come un parcheggio o come scusante (noi siamo i professionisti di domani, qualsiasi facoltà abbiamo scelto). 
Vengo subito smentita, si legge su una delle tante pagine di questa ragazza che lei non frequenta più, in quanto, essendo nella casa, ora non le serve più studiare.
Ah, bene, quindi è questo il sentore generale?
L'università si fa e se ci apre le porte del lavoro bene, sennò tentiamo la televisione, che a mio avviso, ha creato col tempo false speranze e falsi miti. E questi miti, a volte, vengono riesumati dai loro antri e vengono, ancora, venerati.
La tv è il fine ultimo della vita, mostrarsi e nulla più? Ed il cervello, le idee, le novità e le intuizioni, dove sono?

Mi chiedo ancora: ma quando si sceglie una professione di aiuto, lo si fa con testa e cuore, oppure perchè è la più vicina a casa, od ancora peggio, ritenuta facile rispetto ad altre?
Non si può pensare che la tv sia l'unico canale di accesso al mondo, la vita reale è "in strada", è "il vicino di casa" è l'altro che, ogni giorno, incrocia il nostro sguardo.
Siamo arrivati al punto che, l'individualismo prevale su ogni cosa, valore o persona? Basta che la faccia io? E' una lotta tutto contro tutti, ovviamente in vetrina, sennò gli "sforzi" fatti per farsi notare, dove vanno a finire?

Termino l'articolo prendendo in prestito le parole di una docente di una mia collega: "se decidiamo di svolgere un lavoro in cui la relazione è il fulcro dell'attività dobbiamo interrogarci a livello personale sui motivi dei tale scelta:non sempre le relazioni originarie sono soddisfacenti e, sovente, cerchiamo un rapporto per correggere quanto di doloroso abbiamo sperimentato in esse".

Ritroviamo i valori, e questo non vuol dire tornare indietro, ma avere un senso di consapevolezza e dignità. E' un mio personale pensiero sociale, e come tale, opinabile.

Chiara

lunedì 24 ottobre 2011

Pensione...a 67 anni! Quanto spazio resta?

Ho sempre detto che non ho la pretesa di aver ragione, e sono aperta al dialogo ed al confronto, quindi quello che andrò a scrivere non è il dettame da prendere come verità ma, un personale pensiero, che merita di essere esposto, così come i pensieri di tutti gli esser pensanti.

Sento oggi che il decreto sviluppo, la manovra, insomma tutto quello che dovrebbe dare una spinta positiva all'economia, anzichè farlo...l'ammazza.

Sento amici che hanno un lavoro ma non si vedono versare i contributi, ho amici che lavorano in nero, sì non neghiamolo il sommerso esiste, e soprattutto, come anche in tv dicono, meno male che il lavoro nero esiste. Perchè? Perchè almeno arrivi a fine mese e paghi le bollette, poi mangi.
Ed ora questa novità, in pensione a 67 anni.
Ma noi giovani che aneliamo di entrare nel mondo del lavoro? Ci entreremo mai? Oppure quando avremo 67 anni ci destineranno l'assegno sociale, perchè purtroppo il mondo del lavoro non l'abbiamo mai sfiorato.
Perchè allungare l'età pensionabile anzichè fare un altro sistema pensionistico.
Perchè non aprire il mercato del lavoro così chi lavora oggi versa i contributi per chi dovrà andare in pensione domani, soprattutto con un'età ragionevole.

Non è vecchio chi ha più rughe oppure chi ha più anni, quella è solo apparenza, ma non credete che, se venissero date diverse possibilità tutti potrebbe contribuire al "diventamento" della società?
I giovani che hanno bisogno di maestri, tutor, mentori...potrebbero restare dove sono, ma lasciare spazio al collega giovane, insegnare ed apprendere, magari confrontarsi...un scambio reciproco ed una mutua creazione. 

Tutti avrebbero spazio, dignità, utilità e soprattutto tutti avrebbero lavoro e pensione.

Voglio firmare questo post, è un mio pensiero e ci credo fermamente.
Chiara.

sabato 22 ottobre 2011

Dal "Grande Fratello" allo sfratto

In questi giorni, in tv, sta passando la pubblicità della nuova edizione del programma reality "Grande Fratello", al contempo, in alcuni (e non in tutti) salotti televisivi, si apprendono storie e vicende umane - oramai - all'ordine del giorno.
Cosa c'è di strano in tutto ciò? In apparenza nulla se non si approfondiscono le notizie.

La Casa del Grande Fratello quest'anno è più grande, offrirà ai concorrenti tutti i confort e la conduttrice indosserà abiti non griffati bensì, abiti che - come lei stessa ha dichiarato - tutte le ragazze, il giorno dopo della diretta, possano acquistarlo (a 30€).

Le notizie, che non tutti i canali televisivi passano, sono storie di difficoltà quotidiane, sono le vite di persone che vivono in questa società e, loro malgrado, si trovano in difficoltà. Hanno accettato di portare aventi le loro vite, come è giusto che sia ma, nel momento del bisogno, vengono lasciati soli. Dimenticati. Invisibili. Ai margini.


Ci sono note stonate, forse anche dolorose, quando si apprende che le persone in questione sono state sfrattate, hanno figli disabili, vivono in strada e che, per dignità, dopo la notte passata all'addiaccio, con una scopa rassettano il loro giaciglio fatto di cartoni. Il padre, per evitare che alla famiglia accada qualcosa, sta sveglio e le sorveglia, le accudisce.

Cosa stride?
Ebbene stride che sempre di casa si parla. Il diritto alla casa, il diritto alla dignità, alla salute, alla protezione che le famiglie che non arrivano a fine e si rivolgono alla Caritas, si vedono negare...mentre i concorrenti del Grande Fratello, sebbene sia un format televisivo, hanno gratuitamente.

Mi chiedo questo: perchè la società tutta non s'accorge di quanto bisogno ci sia attorno a sè?
Quanto manca proprio nella casa a fianco, sempre che la casa ci sia?
Perchè investire soldi, che immagino siano della rete del programma (quindi privati), anzichè fare donazioni ad enti, associazioni, allo Stato stesso?
E perchè la collettività non si sveglia dal torpore "voyeuristico" (mi si passi il termine) e lascia il passo ad argomenti più seri, più interessanti e soprattutto più attuali?
Il vicino, da sempre, è al centro della solidarietà, bene, riappropriamoci di questo valori, apriamo gli occhi e cerchiamo di indirizzare l'attenzione, di tutti, verso chi ha realmente bisogno.
Diamo un altro valore ai valori...che si stanno, inesorabilmente, perdendo.

Non può intervenire una rete televisiva a salvare dalla strada e dal freddo una famiglia anzichè lo Stato perchè, la società, richiede altro.
Non è questo il mondo che è stato lasciato dai nostri "padri"

martedì 18 ottobre 2011

Corrispondenza con un detenuto nel braccio della morte. "I'm a death man"

"I'm a death man" (sono un uomo morto), questa è una delle frasi che, il mio amico di penna detenuto nel braccio della morte del Texas, mi ha scritto nella sua prima lettera.

A me, nonostante sapessi che prima o poi, la condanna verrà eseguita, ha colpito molto. Non so il reato di cui è accusato, non glielo chiederò mai, ma fa riflettere come "il braccio della morte" spersonalizzi, non sei più un uomo, una persona ma, bensì, sei un uomo morto. Non conti più nulla, sei rinchiuso, con tutti i diritti, sanciti anche dai trattati internazionali e dalla Carta dei diritti umani, vengano calpestati.

Il comune sentire non è a favore della pena di morte ma, se quel detenuto ha commesso il reato (voglio ricordare che c'è anche un percentuale di innocenti), e sapendo a cosa andava incontro, è bene che lui resti lì. Niente sconti, niente diritto di replica. In buon sostanza, la filosofia di fondo è "buttiamo via la chiave!".
E' innegabile che quella persona avrà, per la maggior parte dei casi, ucciso un uomo e quindi lo ha privato della vita, il diritto assoluto ma, è anche vero che nessun sistema di giustizia deve arrogarsi il diritto di uccidere consapevolmente un'altra persona.
Se errare è umano, chi garantisce alla collettività tutta che il giudizio del Giudice e della giuria sia privo di errori e contraddizioni?

E' bene riflettere, quando si parla di "pena di morte" di "deterrenza" intesa come quel fattore che deve incidere quando un soggetto, prossimo al compimento del reato, lo porti sulla retta via e non gli permetta di cadere in errore. Altra riflessione è doverosa sul termine "errore" e sul concetto di "libertà", ed infine sul concetto di "pena".
Cosa è giusto e cosa è sbagliato?
Chi ha il diritto di privare della vita?
Quanto conta il vissuto della persona nel corso della sua vita?
Una pena così definitiva può realmente essere utile? E questo "utile" cosa significa?

Sono tanti gli interrogativi aperti sulla questione (e tornerò sull'argomento), ed io, invito i miei lettori a leggere "La mia vita nel braccio della morte" di M. Rossi (casa editrice Tea), per capirne qualcosa in più sul sistema penitenziario (e non solo) americano.

Io proseguo nella mia corrispondenza con Steven (ecco il suo nome), cercando di essergli vicina e creargli spazi di normalità, nella speranza che la sua morte non avvenga per mano di "assassini legalizzati"

giovedì 6 ottobre 2011

Esco dal carcere...e poi?

O tempora o mores, direbbe Cicerone e lo scriveva ai suoi tempi, ma anche noi possiamo tranquillamente farla nostra.

A cadenza, quasi, regolare in tv e sui giornali nasce un nuovo caso di cronaca nera, dai bambini agli adulti le vittime spesso vengono esaltate quando il fatto è "fresco" ma, col tempo, si dimenticano ed al centro dell'attenzione troviamo solo i carnefici od i presunti tali.
Noi non dobbiamo e non possiamo giudicare, non siamo nè la Legge nè giudici ma, possiamo analizzare i fatti, soprattutto quelli che accadono quando, i carnefici o presunti tali, escono dal carcere.

Certo, è importante anche il periodo di detenzione, che ricordiamo, deve esser volto alla rieducazione del condannato, riabilitarlo e fornirgli gli strumenti adeguati per potersi inserire nuovamente in società.
Ecco, come deve avvenire questo reinserimento?

Scrivendo libri? Apparendo in tv? Interviste e video rubati da qualche anonimo cellulare? Oppure, con supporti educativi, psicologici e con la società - tutta - pronta e capace di riaccogliere un cittadino che, possiamo dirlo, si riaffaccia alla vita?
E con questo intendo dire che sarebbe il caso che, chi esce dal carcere non venisse etichettato come "assassino", "ladro", "truffatore"...ma venisse riconosciuto come uomo, come persona! Con la sua dignità di uomo, con il suo background certamente ma, con ancora tutti i diritti integri.
E dall'altro lato, la persona che ora è libera, abbia la capacità di affrontare il percorso, la nuova possibilità che gli è stata concessa con onore e dignità, con il coraggio e la forza di non scrivere libri e non andare in tv a fare appelli ma, adeguandosi al tempo.

Non facile, perchè, le difficoltà sono tante, da diversi fronti, ma nuovamente (e mi ripeto) è importante lavorare con la collettività, sul territorio al fine di educare e preparare i cittadini di oggi e di ieri, a non avere paura ma, ad accogliere e proseguire insieme.

Non apparire, ma essere. Essere uomini, essere professionisti, essere in grado di garantire diritti esigibili ed adempiere ai nostri doveri di cittadini.

domenica 2 ottobre 2011

Città violente

Da giorni mi frulla per la testa la puntata di "Matrix" che è andata in onda qualche giorno fa.
Il titolo della puntata era: "Città violente".

Già dal titolo ero preoccupata, con l'andare del tempo la puntata è stata un susseguirsi di luoghi comuni. Questi non vanno trasmessi in tv, ma i fatti andrebbero analizzati con rigore e scientificità.
Roma è stata paragonata a Scampia, Quarto Oggiaro è stato dipinto come l'unico quartiere milanese ad essere asserragliato dalla criminalità e via di questo passo.

Io sono dell'idea che, essendo la criminalità sempre esistita, non è possibile fare adesso, trasmissioni che mettano in piazza i problemi di una città (da notare sempre quelle grandi, le capitali, definiamole così), senza affrontare anche l'argomento a questo connesso, ossia la risoluzione di questi problemi.
Abbiamo la possibilità di lavorare con le comunità, abbiamo il dovere di lavorare a favore di comunità, persone e gruppi, perchè non attivarci?
Non pensiamo a grosse somme di denaro, non pensiamo alla costruzione di chissà quali opere archittetoniche...no, pensiamo al lavoro che può essere fatto in strada, intercettare il bisogno, intercettare chi è portatore di quel bisogno, parlare con i diritti interessati...che, chi meglio di loro possono dire come realmente stanno le cose, ed ipotizzare un progetto di risoluzione.

Creiamo legami, le persone sono "animali sociali", siamo a conoscenza dei problemi, ed abbiamo la possibilità di costruire soluzioni...facciamolo!!
Educatori, assistenti sociali, volontari! Uniamo le forze ed attiviamoci per la nostra comunità, la nostra società...la collettività!


In tv si parla di "più forze di polizia", "più telecamere" ed "inasprimenti di pene"...controllo attuariale, punizioni e null'altro, non si parla di educazione e di costruzione!

Grave, gravissimo errore secondo me!