lunedì 27 febbraio 2012

Di una mattina al Centro Prelievi e...

Svogliata, stanca ennesimi esami, ennesima coda. 
54 persone.
Attendo con pazienza lo scorrere lento dei numeri sul display. Mi sento osservata.
Una donna davanti a me sta guardando le mie mani ed il mio numero. Le sorrido. 
«Ne abbiamo di gente in coda, in questi posti è sempre così!»
«Sì, basta aspettare un pò!» replico io, i soliti discorsi che lasciano poco spazio a nuove argomentazioni.
Mi alzo, tocca a me, saluto e mi avvicno. Non ci voglio credere mi tocca aspettare altre 45 persone, non sono in completa forma appena mi accorgo che c'è una sedia libera mi ci butto a pesce.Poco dopo si accomoda davanti a me la signora di pochi minuti prima.
«Ma lei è ancora qui?» mi chiede.
«Così pare, eh!?» quasi scherzosa, alla domanda banale. 
«Ma lei, così giovane, carina...che cosa ci fa qui?»
Domanda "curiosa" sono in un Centro Prelievi, che cosa mai dovrò fare? La domanda va oltre, lo so, ma non amo raccontare i fatti miei, i problemi miei. 
Sto poco bene, non ho una faccia che illumina la stanza, quindi...
«Devo vedere com'è la mia situazione!» rispondo, non sapevo cosa dire.
«Eh hai visto questa ragazza?» Chiede la donna bionda alla volontaria che piantona la porta.
Vengo nuovamente fissata, non mi piace essere fissata. 
Spero che il mio numero lampeggi presto.
 
«E' giovane, cosa ci fa qui? E' nel fiore degli anni e deve sbocciare!» Prosegue, sempre rivolgendosi alla volontaria.
 
174. Sì, sono io. Mi alzo e mi avvicino alla porta. Saluto le due donne e la signora bionda mi guarda e mi dice: «Metta su un pò di chili e vada a sciare, è giovane!» 
E scompaio nella stanzina per farmi prendere il sangue, che ha anche un bel colore.

Incontri mattutini che a volte fanno sorridere a volte no, sicuramente stare seduta per ore in Centro prelievi permette di osservare visi, comportamenti, mani ed ascoltare voci. 
Chi legge, chi non si cura di nulla che di se stesso, chi nella confusione non capisce dove andare, le impiegate che non hanno mai pazienza ed hanno fretta di sbrigare il loro lavoro, bimbi che piangono e mamma che li coccolano.

E' il mondo, è vario, è complesso (Morenianamente parlando) non dimentichiamolo.

venerdì 24 febbraio 2012

La prima bevuta ad undici anni

Dall'ottava Relazione annuale al Parlamento sugli interventi realizzati dal Ministero della Salute e Regioni emerge questo dato: il 13,6% dei minori ha consumato alcool fra gli 11 ed i 15 anni.

Il dato si commenta da solo ma, io  trovo opportuno fare una riflessione, personale ed opinabile, come sempre.
Trovo che il bere alcool già ad undici anni sia una sconfitta della nostra società. 

Ricordo i miei 11 anni, dove l'unica voglia che avevo (ed avevamo) era quella di correre ed uscire, non stare in casa neanche se avevamo una punizione da rispettare. L'unica nostra bevanda era l'acqua della fontana. E non sono poi così vecchia..
Cos'è cambiato? E perchè? A cosa non abbiamo prestato attenzione? E' sfuggito qualcosa di mano, oppure è qualcosa davanti al quale dobbiamo rassegnarci?
E cosa fare qualora questa situazione diventerà la prassi?
Perchè sulle sedie del bar dell'Università ho dovuto vedere 5 ragazze in cerchio che, alle 9 del mattino, si passavano un bottiglione di vino bianco preso dal discount poco distante?

Perchè l'alcool è diventato così attraente?

Non riesco a fare altro che pormi domande, non riesco - però - a darmi risposte. O forse ne avrei troppe e tutte troppo amare.
Cosa abbiamo portato via a questi undicenni, che si affacciano alla vita, per non apprezzare più le corse al parco e preferire una bevuta?

Interroghiamoci. Cerchiamo di riflettere su queste cose.
Il domani siamo noi e saranno loro. 

Vogliamo un domani sbronzo o vogliamo un domani che sia in grado di camminare sulle sue gambe senza dover barcollare e puzzare di alcool e stantio?


Chiara

giovedì 16 febbraio 2012

Il sorriso di un anziano

Questo pomeriggio sono uscita per incontrare un'amica. Ero molto felice di vederla, da tempo avevamo deciso di vederci, ed oggi finalmente ci siamo riuscite.

Uscendo dalla porta di casa noto, seduto sul bordo di un'aiuola del mio androne, un signore piegato su stesso. Io che in questi giorni non sto scoppiando di salute, ho subito pensato che avesse bisogno, mi sono vista in lui e mi sono chiesta se fossi io lì piegata su me stessa, qualcuno verrebbe a chiedermi anche solo "ha bisogno di qualcosa?".
Mi avvicino, delicata, vedo il tubo dell'ossigeno. Lo sovrastavo in altezza, mi sono piegata per vedergli il viso, ed ansimava. Gli ho chiesto con dolcezza se potessi fare qualcosa, mi ha indicato il portone. Così ci siamo avviati insieme al portone bianco di casa mia, la figlia lo stava aspettando in macchina.
Lo saluto e mentre sto per incamminarmi verso la mia amica, vedo arrivare una signora che abita nel mio palazzo, anziana anche lei. Torno indietro e riesco a non far chiudere il portone, lo apro per farla passare.
Il viso di questa signora s'è illuminato, mi ha sorriso e con una voce che solo le nonne hanno mi ha ringraziata: "Signorina Lei è sempre così gentile con me, davvero! Grazie, grazie!".
Le ho sorriso a mia volta dicendole che era un piacere e con lo sguardo l'ho poi seguita fino a quando il corridoio non l'ha oscurata.

Questi pochi gesti, hanno dato un sapore nuovo alla bellezza della giornata che sta volgendo al termine. Il sole che era talmente bello, oggi, che è un peccato non averlo abbracciato. Il cielo era così azzurro che donava davvero una sensazione di benessere.

Non ho sprecato tempo, non ho perso nulla, ma ho guadagnato un pizzico di pace nel mio cuore.

Tornando a casa mi sono chiesta se, fra anni, quando io sarò anziana, ci sarà ancora la voglia di prestare attenzione a chi non ha più le forze - perchè ogni ruga del viso è stata una battaglia con la vita - oppure se la frenesia, la fretta e l'individualismo avranno avuto la meglio.

martedì 7 febbraio 2012

Lettera al Ministro dell'Interno Annamaria Cancellieri

Spett.le Ministro Cancellieri,

sono una giovane laureata che suo malgrado è costretta a vivere a casa di mamma, vedendola uscire di casa tutti i giorni quando, invece, dovrei essere io ad uscire, a sudare ed a "mandare avanti la baracca".
Io non esco di casa perchè un lavoro non ce l'ho. 
Io non esco di casa perchè, non avendo un lavoro, non ho la possibilità di "far girare l'economia" come si sente dire nei salotti televisi. Rinuncio allo shopping, rinuncio al cinema, rinuncio alle uscite il sabato sera e rinuncio alle uscite fuori porta. 
Non vado a pinagere al capezzale di mamma chiedendole i soldi per i miei piaceri ma, per le mie visite mediche, perchè quelle costano, perchè le visite e gli esami specifici "sono fatti soli in determinati centri" mi ha sottolineato il medico specialista, nel suo studio privato. Se non potesse pagarmi quelle visite io non mi potrei curare ma, se avessi un lavoro, sarei ben felice di potermi pagare ciò che devo, sarei ben felice di contribuire allo sviluppo del mio Paese.

Paese che molti ragazzi hanno lasciato. E lasciandolo hanno salutato amici, genitori, casa e tutto quello che per loro è "famiglia", per avere un futuro altrove e facendo crescere - così - quel Paese non il loro.
Noi ragazzi, noi giovani non vogliamo il posto di lavoro vicino a casa di mamma e papà.
Noi ragazzi chiediamo solamente un futuro, un lavoro, una dignità.

"Il lavoro nobilita l'uomo" diceva il saggio.

Chi Le ha detto che i giovani di oggi vogliono la comodità?
Noi chiediamo solo quello ci spetta, quello che spetta a tutti i cittadini. Un lavoro, e qualora questo non possa essere "fisso", chiediamo che le condizioni per accedere al mondo del lavoro, al mercato immobiliare, per poter vederci garantita la pensione, per poter beneficiare della mutua quando ci ammaliamo. Chiediamo la normalità.

Certo in questi anni l'abbiamo persa di vista ma, ma mai dimenticata.
L’Organizzazione mondiale della sanità sostiene che, entro il 2020, la depressione diventerà la seconda causa di invalidità nei Paesi occidentali e non mi stupisco. Quando si è senza prospettive, quando i sogni vengono cancellati sul nascere, quando si vedono mancare le garanzie e quando si legge sui giornali che "saranno i diversamente giovani a mandare avanti il Paese" sì, la depressione iniziare a fare capolino.Questa mia per ricordarLe che non tutti i giovani sono bamboccioni come sono stati dipinti in tempi non sospetti. Per farLe presente che se avessimo le possibilità saremmo anche dall'altro capo dell'Italia per poter lavorare e sentiremmo mamma e papà tramite cellulare. Per sottolinearLe che tutti noi saremo il domani dell'Italia e che se davvero l'attuale Governo in carica lo ha a cuore dovrebbe giudicare meno, riflettere e concretizzare di più.

Concludo ricordando le parole di un giovane cantante: "Da qua se vanno tutti, non te ne accorgi ma da qua se ne vanno tutti.. [...] e chi vuole rimanere ma come fa? Ha le mani legate come Andromeda!"

Cordiali saluti,
Una cittadina italiana.

Chiara Biraghi 

lunedì 6 febbraio 2012

Abbiamo perso il senso di responsabilità?

Ogni qual volta accade qualcosa, a questo qualcosa si deve attribuire una causa ed un responsabile.
Forse ci aiuta a farci stare meglio, forse serve per far maturare colui che ha commesso quel terminato ad atto, e penso ai bambini che da piccoli combinano un guaio. E' compito dei genitori fargli capire qual è stato il loro errore e soprattutto farlo ragionare collegando il suo atto alla conseguenza, in tale modo il bambino ragiona, matura e si auspica che non ripeta più quell'errore.

Crescendo cosa cambia? Che meccanismo scatta? Perchè sempre più spesso assistiamo ad uno "scaricamento" di responsabilità anziché sentire sempre più persone che si assumono la loro responsabilità.
E' difficile, ammettere di essere "colpevoli" non è cosa semplice ma, se da piccoli ci è stato insegnato perché non proseguire su quel cammino.
Essere consapevoli delle proprie azioni, comprenderne il significato, accettare le conseguenze non è cosa da poco, però. Permette di crescere ed imboccare un cammino di crescita personale.

Ogni giorno veniamo a sapere che qualcuno non s'è assunto le sue responsabilità, non ha saputo gestire le situazioni e trova, per forza di cosa, un capro espiatorio da offrire per potersi "lavare" la coscienza.
Non scendo nei particolari ma ai telegiornali sentiamo scambi di colpe ed ammissioni di innocenza che, però, hanno causato disagi, stragi e morti. E a chi dire grazie, dunque?

E quando sentiamo di un pregiudicato, di un malato psichiatrico, di un ex detenuto perchè tendiamo a dare la colpa al singolo soggetto anziché al sistema che aveva il dovere di seguire il percorso di questi soggetto, come  quello di tutti noi?
"E' stato lui", "la colpa è sua" ed altri giudizi simili ricadono sul "colpevole" ma, se andassimo a vedere qual è il suo passato, cosa gli sarebbe spettato, di chi è la colpa?

Tutti, dallo Stato al singolo cittadino, sia quando si esercitano funzioni pubbliche sia quando siamo nel privato di casa nostra dobbiamo assumerci le nostre responsabilità. Dobbiamo maturare ed avere sempre più consapevolezza delle nostre azioni e parole.

giovedì 2 febbraio 2012

"Sennet..tiamente" instabile, flessicurezza e posto fisso.

Richard Sennet, sul finire degli anni novanta, scrisse "L'uomo flessibile. Le conseguenze del nuovo capitalismo sulla vita personale". 
Il sociologo in questione, sposato con la non meno nota sociologa ed economista Saskia Sassen, dobbiamo dire che ha anticipato di qualche anno le dichiarazioni di ieri sera, a Matrix, dell'attuale Presidente del Consiglio Mario Monti.
Lasciamo da parte le varie "battute" che si prestano facilmente ad "il posto fisso è noioso" ma, obiettivamente quando ha detto che "i giovani devono scordarselo" non ha proprio sbagliato mira. Ed anche quando ha sostenuto che i cambiamenti sono una sfida non ha detto una grande castroneria, mettersi in gioco permette di crescere e di conoscersi, comprendere i nostri limiti e sapere cosa e quanto abbiamo da offrire.

E' da vedere cosa, in quell'affermazione ha fatto storcere il naso, ha ferito i giovani ed aizzare i social network.
Siamo un periodo storico dove sarebbe il caso di rispolverare i libri del compianto Keynes, dove le parole "certezza", "futuro", "possibilità" e "progetto di vita" nel vocabolario di molti non esistono, dove il senso di inutilità delle persone è così grande che, spesso, non si ha la sicurezza di essere in vita ma, dei semplici vegetali e questo dovrebbe portarci a riflettere, a ragionare sulle soluzioni e, soprattutto, sfruttare ciò che prima di noi ha fatto "storia":
Se stiamo vivendo una società - per dirla alla Beck "del rischio", per dirla alla Baumann "liquida", dove le certezze sono i dubbi, dove la destrutturazione delle biografie lavorative incide davvero molto sul piatto della bilancia, sarebbe bene se non fondamentale, accompagnare le affermazioni di "addio al posto fisso, spazio al cambiamento ed alla flessibilità" anche alla sicurezza.

Flessicurezza. Appunto.
Si chiede alle persone di essere pronte al cambiamento, di adeguarsi in fretta e di essere flessibili. 
Si chiede di correre dove il lavoro sta (qualora ci sia), senza però dare delle garanzie.
Che ci sia una sicurezza, una certezza, una possibilità di vedere oltre quella coltre nebbiosa.
Forse, i giovani, sono anche capaci di adeguarsi alla flessibilità ma, se questa non è accompagna dalla sicurezza ed misure di politiche attive concrete del lavoro, come fanno i giovani ad accettare queste condizioni?
E chi invece giovane - anagraficamente - non lo è più? Che può fare? 

E le donne?
E le future generazioni (se ci saranno)?
E chi non ha potuto studiare?
E le persone con disabilità?

Non si possono dimenticare così, come se niente fosse, la diversità esiste e dev'essere rispettata. Con le adeguate soluzioni.

Ed ancora vi sono dei lavori in cui il posto fisso è più utile a chi beneficia della prestazione rispetto al lavoratore, e penso ai medici ed ai loro pazienti, penso agli educatori ed assistenti sociali ed ai loro utenti, penso agli avvocati ed ai loro assistiti. A tutte quelle professioni dove, il professionista diventa un punto di riferimento per l'utenza ed il posto fisso diventa, così, garanzia di sicurezza e fiducia.
Poter contare su una persona non è da sottovalutare. La fiducia, la confidenza la relazione tutta non si può costruire con uno schiocco di dita, ha bisogno di tempo e senza il posto fisso c'è il rischio che venga a mancare.

In conclusione dimentichiamo la Weberiana "gabbia d'acciaio" e prepariamoci ad essere elastici, alieniamo  la nostra identità lavorativa  lottatori, auspicando uno scandinavo sistema di Welfare.

«Ma in questo posto di lavoro flessibile, con i lavoratori poliglotti che vanno e vengono a intervalli regolari, e gli ordini che variano profondamente da un giorno all’altro, le macchine sono l’unico vero punto di riferimento, e cosi devono essere tanto semplici da poter essere utilizzate da chiunque. In un regime flessibile, le difficoltà sono contro produttive. Per un paradosso terribile, quando si diminuiscono la difficoltà e la resistenza si creano però anche le condizioni affinché gli utenti lavorino in modo acritico e indifferente».
The Corrosion of character, 1999

Chiara