mercoledì 28 settembre 2011

Giovani...ehhh voi giovani.

Voi giovani! Chissà come i giovani faranno a...? I giovani sono tutti uguali! Speriamo che i giovani abbiano ancora dei valori...

Queste frasi le ho sentite spesso, molte volte le hanno dette direttamente a me, altre le sento in tv ed altre ancora si leggono.
Ma quando si parla di giovani, di chi realmente si parla?
Sembra di parli di un ammasso di persone indefinito.

Questi giovani hanno un'età? Un viso? Delle capacità? Dei problemi? Delle risorse? Hanno qualcosa da offrire?
Se quando in tv, sui giornali, on line si rispondesse prima a queste domande, invece che fare un grande calderone senza arte nè parte, noi giovani, ci sentiremmo meno "attaccati".

Da un lato siamo utili perchè veniamo definiti "il futuro di questo paese", dall'latro lato non vediamo nulla che venga fatto a nostro favore. Se studiamo siamo "parcheggiati", se cerchiamo lavoro "perdiamo" tempo, se lavoriamo siamo fortunati ma, non abbiamo voglia di studiare.
Insomma, non andiamo mai bene, e parlo al plurale perchè anche io sono giovane, ed ho un viso, un'età, delle capacità, dei problemi, degli amici e voglia di fare.

Cosa potremmo fare noi giovani per far sentire la nostra voce? Cosa potremmo fare per sì che i dati che di seguito riporto siano solo un brutto ricordo?

Secondo Confartigianato su 100 ragazzi italiani sotto i 35 anni, 16 non hanno un’occupazione. Una proporzione già di per sé preoccupante, che sale addirittura a 25 su 100 al Sud, e che tocca il suo picco massimo in Sicilia, dove la disoccupazione giovanile riguarda ben 28 ragazzi e ragazze su 100. Ancora peggio le condizioni degli under 24: più di 3 su 10 non hanno un lavoro.


I giovani di oggi sono stati bambini, hanno una famiglia ed avranno una famiglia. I servizi, la governance, le politiche dovrebbe investire risorse, energie, dare fiducia e soprattutto speranza e concretezza.

Se oggi non gettiamo le basi per un domani, quel domani non ci sarà e questo avrà serie ripercussioni su quello che ho appena menzionato: servizi, famiglie, politiche, welfare e comunità.

domenica 25 settembre 2011

Riflessioni sull'esame di stato.

Terminati i 3 anni di studio, dopo aver superato almeno 24 esami, aver fatto un tirocinio (che si spera il più attinente possibile alla professione di Assistente Sociale), dopo aver scritto una Tesi e dopo averla discussa di fronte ad una commissione...cosa ha di fronte un neo dottore in servizio sociale e così come lui tanti altri laureati in altre discipline?

L'esame di Stato. Odiato? Sì tanto. Spaventoso? Sì, tanto! Ma perchè? Perchè questa tappa non è vista come un altro traguardo ma come un altro esame da superare, con le stesse ansie di quei 24?
Da un lato l'università non prepara come dovrebbe, e questo non solo perchè gli studenti non hanno voglia di studiare o di applicarsi, ma perchè spesso non viene trasmessa la passione, perchè tante volte vediamo passare gli esami a chi, invece, meritava di tornare un'altra volta, perchè tutti i libri che studiamo sono tanta teoria..ma l'indomani saremo davanti a persone in carne ed ossa, con problemi reali, caratteri diversi ed esigenze diverse.

Dall'altro perchè costa veramente tanto. Gli studenti hanno alle spalle una famiglia che li ha supportati nel suo percorso accademico, durante il quale, lo studente cerca di fare del suo meglio per restare "in corso", ma se lavori almeno di mezzo anno si sfora. Perchè far pagare quanto meno 400€ ad uno studente, che solitamente ha sì e no...24 anni? Se non abbiamo la possibilità di lavorare, questi soldi li dobbiamo chiedere e questo, sovente, è fonte di umiliazione.

Ma ancora mi chiedo...perchè una Commissione, rispettabilissima, mi deve interrogare su argomenti che altri docenti (suoi pari) hanno già avuto modo di esaminarmi? E se mi hanno promosso significa che quelle determinate nozioni le ho acquisite.
Certo viene da dire, se le sai già che problema c'è? Il problema, a mio avviso, c'è eccome.
Al posto di fare prove "simili" a quelle che sono state affrontate durante gli anni di studio, perchè non testano quanto il candidato sia effettivamente in grado di esercitare quella professione?
Mi viene da dire..perchè non fare una sorta di altro tirocinio durante il quale vengo veramente osservata, messa alla prova, esaminata e valutata? Previa, si intende, adeguata formazione universitaria..e con questo intendo sia il versante nozionistico (quindi valido, il più possibile aggiornato e completo, con la pratica che si unisce alla grammatica) e sul versante delle valutazioni (ossia essere severi il giusto, non far passare chiunque perchè tanto "prima o poi un altro collega la bloccherà!").

Non nego l'importanza della conoscenza di leggi, metodi, tecniche ed altri argomenti puramente teorici, ma la scuola dev'essere in grado di preparare gli studenti in maniera "professionale", dare tanti libri che non avvicinano lo studente alla professione non è così utile quanto si pensi.

Scambi, dibattiti, incontri, osservazione, sperimentazione e studio dovrebbero essere parole chiave nelle aule accademiche.

venerdì 23 settembre 2011

Anziani...questi sconosciuti

Un anziano, due anziani...il mondo, le diverse società sono composta da giovani, bambini, adulti ed anche anziani.
Spesso vengono dimenticati, spesso derisi ma, ancor peggio vengono considerati inutili, o forse utili, quando però fanno comodo a "noi". Un giorno fanno i "nonni", un giorno fanno i "baby sitter" il giorno poco ancora "innaffiatore di piante" perchè noi siamo andati in vacanza.

Ma realmente questi anziani, chi sono?
Sono persone, sono persone che hanno, come tutti, risorse e bisogni ed una dignità.

Leggere questo sul giornale locale mi ha lasciato senza parole. Giornale "Il Biellese" riporta: "il numero di posti convenzionati per non autosufficienti nelle case di riposo è SCESO da 770 unità a 630! La lista di attesa è a quota mille!" Cota, Presidente della Regione, risponde: che presto nominerà un assessore alle politiche sociali.

Ma domandiamoci quanto sia necessario rispondere ad un’esigenza così importante con una persona, con una poltrona, anziché con servizi, operatori ed interventi?
Non nego l’importanza di un Assessore alle politiche sociali, anzi, un ruolo secondo me fondamentale in un sistema di welfare, ma quanto conta questa persona se non ha a disposizione: fondi, operatori preparati e competenti, servizi da offrire, interventi per implementare quella che è la politica.
Spesso si parla di persone paragonandole a minuti, il “minuttaggio”. No, le persone non sono minuti, sono persone con corpo, anima e mente. Questo dovrebbe stare alla base, e se, qualora non ci fossero i soldi, il cash necessario, perché non diffondere una cultura della domiciliarità?
Quante persone si occupano dei loro “anziani” perché non posso fare diversamente.

Cultura, non poltrone.
Servizi, non cariche.

A partire dal basso, non dall’alto. Ascoltare la voce degli utenti e di quelli che potrebbero essere i potenziali utenti.

Riflessioni di una neo laureata in Servizio Sociale

E dopo aver inforcato i miei occhiali rossi e bianchi (ebbene sì, sono miope ed astigmatica, per non farmi mancare nulla), mi trovo di fronte a questo foglio bianco, che, ogni volta si presta – senza ma e senza se – a farsi riempire.
Il ticchettio dei tasti di questa tastiera mi infastidisce, anche se sono della generazione “e” (electronic), non mi sono ancora abituata.
Riflettiamo, ogni tanto è giusto fermarsi e riflettere, pensare e dare la giusta collocazione ad ogni avvenimento, e riflettere oggi, dopo aver inviato cinquanta Curriculum, ha un altro valore.
O meglio, ha un valore il mio curriculum e con esso le mie conoscenze e capacità, oppure – come troppo spesso sento dire – non hai quel cognome, non sei amica di quella tal persona? La sfida dei prossimi giorni sarà quella di non arrabbiarsi se pochi (o forse nessuno) mi risponderà, io, il mio dovere di giovane squattrinata senza lavoro, l’ho fatto. E proseguirò. Non mi fermo, non mi sono mai fermata, quando l’ho fatto ho dovuto digerire un boccone amarissimo.
E sempre in campo lavorativo siamo, forse ha ragione l’esponente del PdL a dire che il precariato ha una valenza formativa ed educativa? Per me è distruttiva, ma facendo rima…
Nei momenti di serenità, o quando ne ho l’occasione, ho piacere a guardare indietro e vedere com’era la Chiara di anche solo cinque o sei anni fa. Non ero io, non avevo questa consapevolezza, avevo già diverse ferite, ma ammetto che fatico a riconoscermi. Ho voluto dare il merito di questa maturazione all’Università, ma non tanto per quello che è in sé, ma per quello ha fatto nascere e sbocciare in me.
Ho intrapreso il percorso universitario, ed è corretto ammetterlo, non pienamente convinta. Le sfide, le difficoltà da affrontare, senza parlare, ma semplicemente ponendosi dinnanzi a me, hanno iniziato a far crescere una Chiara nuova, che piano piano iniziava a capire cosa voleva e soprattutto perché. In primis, non volevo essere la solita ragazzina che quando parla non ha nulla da dire, e che prende per buono tutto quello che le viene detto, così ho affrontato gli esami di diritto e di politica, tutti gli altri erano invece una scoperta, in quanto, definiti professionalizzanti.
Ottimo, “ti stai creando il futuro”, mi dicevo e così alle lezioni di metodi e tecniche prestavo attenzione, mi immaginavo (perché spesso l’assistente sociale è donna), una donna che ha lo spirito della pulzella d’Orleans e che ogni giorno affronta i problemi della “gente”.
Non abbiamo, noi studenti, mai avuto modo, di comprendere appieno, quanto il banco sia un bellissimo letto di bambagia, tant’è che quando un professore, quello che sarà il mio relatore, ha avuto l’onestà intellettuale di farci esempi e – nonostante tutto – presentarci il lavoro dell’assistente sociale come uno dei più belli, io dal primo banco (per via della miopia), mi sono commossa.
Ho voluto ringraziarlo, non per ruffianeria, ma perché finalmente avevamo avuto a che fare con qualcuno che ha avuto la decenza di dirci che la realtà dei servizi non è solo pagine e pagine di libri, ma che è caos, che noi saremo in una giungla e che nulla sarà facile, ma la passione sarà quello che ci accompagnerà.
Ecco, sul finire dei tre anni, pronta per il tirocinio, avevo la sicurezza di aver preso il corso giusto, e volevo affrontare tutto con una luce nuova negli occhi. La luce è stata subito smorzata quando non ho avuto modo di poter essere affiancata da un’assistente sociale, ancora oggi, anelo di poter vedere all’opera un professionista, forse perché…troppa grammatica non aiuta se non è accompagnata dalla pratica.
Sono stati quattro mesi duri, durissimi…soprattutto perché oltre il danno anche la beffa, io volevo fare tirocinio presso gli Uepe, ed invece, in una Onlus per diversabili. Tutto il contrario.
E se l’esperienza insegna, mai giudicare, sì perché io in quel momento avevo giudicato male, sono stati quattro mesi, duri, ma che nel mio cuore hanno un significato importantissimo. Poi da quattro diventano otto, ebbene sì, il lavoro. Con i ragazzi che oramai avevano fiducia, i genitori che ne avevano forse di più, ma sotto Natale, come regalo ricevo il licenziamento: “le ragazze come lei rubano il lavoro!”.
Ah, ecco, in una Onlus una ragazza che ancora non ha la Laurea in mano ruba il lavoro, che smacco, che sofferenza “e se questo è il volontariato, figuriamo il resto della realtà!”, pensai.
Non ho la risposta, non ho avuto modo di sperimentare altro, quindi resto nel limbo dell’immaginario, senza certezze, in compagnia del mio senso di inutilità.
Senza lavoro, senza stipendio, ma ora ho la Laurea, neanche appesa al muro ti consegnano la pergamena dopo anni, e che cosa? Dovrei essere soddisfatta?
Sì, del mio operato sì, di tutto il resto no!
Sento tanti dare la colpa al momento di crisi, non c’è lavoro, non c’è spazio, ma caspita, siamo il futuro…dicono anche quello,  ma se io non inizio a gettare delle basi solide, domani che cosa garantisco?
Quindi come canta Ligabue “ci sono solo quattro farfalle…un po’ più dure a morire”, ma il titolo della canzone è “il peso della valigia”, sono quelle farfalle lì, che io, come altri giovani ci portiamo dietro. Vorrebbero respirare, e fare quello per cui hanno studiato chi avvocato, chi medico, chi infermiera, chi elettricista, chi web designer.
Ma (e so che con ma non si inizia) voglio aggiungere ancora una cosa, i futuri medici e così tanti altri “futuri” sapranno cosa andranno a fare, così anche le persone che gli stanno attorno, io invece spesso lotto perché la maggior parte delle persone che incontro non sanno cosa fa e che cos’è un’assistente sociale, io, porto solo una spiegazione teorica, non pratica, la fortuna non l’ho avuta, ed anche questo è frustrante, com’è frustrante tutto il resto.
Il tuo paese che ti costringe ad andare via, l’essere giovane – siamo nati negli anni sbagliati – lo dicono anche i sociologi, vivremo come i nostri nonni nel dopo guerra (ma non c’è la guerra!), c’è apatia, c’è arrendevolezza. E’pensare non poter pensare che l’indomani vedrò realizzati quei piccoli sogni che scrivevo sul diario segreto (ma che la mamma leggeva!).
E’ grave vedere che sul giornale, un nonno, si offre come nonno sitter! Ma i nonni, non dovrebbero essere su di una panchina ad “insegnare il mondo” come canta J.ax?
Ed i bambini? Dovrebbero ridere ed i loro genitori non temere perché non sanno come fare per arrivare alle fine del mese.
Forse…ci penserà un’assistente sociale?!