domenica 25 novembre 2018

Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne - 25 novembre



Istituita il 7 dicembre 1999 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, si celebra il 25 novembre di ogni anno, ma perché? Non è una data a caso, ricorre l'uccisione di tre donne, tre sorelle, della Repubblica Domenicana; attiviste politiche. Era il 1960.

L'Istat, grazie alle sue ricerche, ci aiuta a "dare i numeri" del fenomeno (leggi qui), il Ministro della Giustizia Bonafede ricorda che: «A luglio scorso erano già 130 i femminicidi registrati nei 12 mesi precedenti. Purtroppo si è a una media di 150 l'anno, quasi uno ogni due giorni».

Sebbene sia condannabile ogni qual tipo di violenza, oggi ci si concentra su quella perpetrata contro le donne che ha mille sfaccettature, che non è semplice da affrontare, che non sempre viene riconosciuta e che - spesso - sfocia in un omicidio (come ricorda il Ministro) con conseguenze da non sottovalutare.

Nel 2011 è nata la Convenzione di Istanbul per la prevenzione e la lotta contro la violenza sulle donne e la violenza domestica. Si tratta di uno strumento che vincola giuridicamente gli Stati in materia. L'Italia ha ratificato la Convenzione nel giugno 2013. Lo Stato italiano, inoltre, ha introdotto nel 2009 la legge antistalking e varato, un’altra normativa (legge 15 ottobre 2013, n. 119) che rende penalmente più incisivi i reati di maltrattamenti in famiglia, violenza sessuale e atti persecutori. 
In Italia, dal 2006, è attivo il numero 1522 (presso la Presidenza del Consiglio e delle Pari Opportunità), operativo 24 ore su 24, disponibile in diverse lingue.

Questi sono i "numeri", ma è doveroso ricordare che dietro a ciascun numero ci sono storie, ci sono persone, ci sono vittime - talvolta impotenti -, e ci sono conseguenze.
In questi ultimi giorni mi sono imbattuta in una di queste storie e mi sono scontrata con le mie difficoltà. Mi domandavo "perché??", "com'è possibile??", sentire alcune frasi mi faceva innervosire e sentire così inutile. Nonostante cercassi di capire e far capire che l'amore è un'altra cosa, che le possibilità date in passato non sono servite, che la tutela e la protezione si dimostrano in altre maniere, qualcosa dentro mi logorava.
Ho sudato e tanto, ho faticato e tanto. 

Mi è tornata in mente un'immagine dove la protagonista ero io. Chi aveva subito ero io, ma solo grazia a mia mamma e alla mia migliore amica di allora (avevo circa 16 anni) ho superato quanto era accaduto. Ricordo che per una settimana non ho voluto uscire di casa, ma non era giusto. Ora so che non era giusto, ma all'epoca non lo sapevo, avevo solo paura e, forse, qualche senso di colpa.
Questi sono i sentimenti ed è con loro che, sia come professionista e come donna, devo far i conti e ci provo, tutti i giorni. Mi sono ripromessa di andare a far un corso per comprendere meglio dinamiche, quale tipo di lavoro svolgere a supporto e protezione, come interagire con chi ha subito e con gli autori di violenza. 

Credo sia necessario lavorare ancora di più sul fronte sociale e culturale. Tanto è stato fatto, ma non è sufficiente; il lavoro da portare avanti, a mio parere, parte "da piccoli" nelle scuole e riesce ad agganciare tutti gli ambiti di vita dell'individuo.

Ritengo sia necessario sensibilizzare la cittadinanza ed educarsi ad uno stile di vita meno violento, dove i diritti sono riconosciuti, dove la parità di genere è una normalità e non una conquista (l'ennesima) da difendere con le unghie e con i denti. 

E' necessario un cambiamento affinché il numero di vittime diminuisca sempre più, affinché si possa parlare di convivenza ed di una società civile e matura....consapevole.

Chiara


martedì 20 novembre 2018

Giornata internazionale per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza - 20 novembre

Era il 20 novembre 1989 e veniva approvata la Convenzione Internazionale sui diritti dell'infanzia.


Io quel giorno avevo 3 anni, quasi 4 mancava poco ed ero una bambina ed ero felice.



Oggi ho 32 anni, quasi 33 e voglio ancora essere felice, facendo quello che tutti i giorni faccio, ovvero il mio lavoro: Assistente Sociale. Ho deciso (e in parte le circostanze mi hanno aiutata) di dedicarmi principalmente ad un'area, quella dei "minori" e con una parola d'ordine quotidiana "responsabilità".


Il motivo?
Perché incontro famiglie, perché mani piccine intrecciano le mie con spontanea fiducia, perché posso confrontarmi con Neuropsichiatri e Psicologi, perché posso pensare a progetti con al centro i bambini e fare con loro e le loro famiglie un percorso. Perché ho la possibilità di relazionarmi con l'Autorità Giudiziaria e pensare davvero a quella che è la "tutela minori" e riflettere su quello che definiamo "interesse superiore del bambino", perché lavoro con Educatori che sono perfettamente consapevoli che il lavoro non si esaurisce al "ciao, come stai" e "cosa vuoi fare oggi?", anche con Avvocati che non hanno solo in testa "la parcella" e anche con Insegnanti che hanno il "sacro fuoco negli occhi" come direbbe una mia collega.


Perché so di avere una responsabilità e questa responsabilità mi spinge ad essere vigile, ad essere presente, attenta, a farmi una domanda in più e se, dopo tanto lavorare, vediamo un sorriso sul viso di un bambino, su quello di una mamma e di una "famiglia di appoggio" (ndr. P.I.P.P.I.), in fondo, abbiamo vinto.

Lavoro in squadra, mi confronto e chiedo aiuto perché i diritti dei bambini non sono così scontati, non sono "isolati", ma sono fortemente collegati a quelli degli adulti, i loro genitori. A quelli della comunità e del contesto all'interno del quale vivono.


E...a volte lavoro da sola, quando devo prendere una decisione, quella finale, quella che porterà verso quella o quell'altra direzione, ma con la consapevolezza di non aver fatto le "cose alla leggera".


Ho in mente quel mezzogiorno di un giorno di primavera quando un papà mi dice: "te la mando lì, qui è successo un casino" e come il mio corpo ha reagito e come la mia testa ha reagito.
Quando i miei occhi hanno visto "il casino" ho dovuto chiedere ad una collega un aiuto per sfogare la rabbia di quel momento, per poi prendere il coraggio, la pazienza, la forza e la responsabilità di fare quello che andava fatto. 


Ho in mente quel pomeriggio assolato d'estate ed un cono gelato al gelato al pistacchio quasi del tutto sciolto in mano e le nostre paure e la nostra consapevolezza, quel sorriso sdentato e "andiamo?" e la responsabilità di andare.

Ho in mente quella maestra che mi dice: "Chiara è il mio lavoro" e vederla sempre lì, pronta ed accogliente, condividendo la responsabilità.

Ho in mente quella mamma che mi dice "prima era qui" - indicandosi la pancia - "e adesso?" con un inglese maccheronico e prendermi la responsabilità di valutare.

Penso a tutti i visi dei bambini e ragazzi che attraversano la nostra e la mia vita professionale, penso alle loro storie e penso che c'è ancora tanto, tanto da fare. Sia concretamente sia culturalmente.

Un passo alla volta.
Giorno dopo giorno.

Chiara