martedì 31 gennaio 2012

Educazione e comunicazione

Ogni giorno ci relazioniamo con tante e diverse persone. 
Loro, come noi, hanno un carattere ed una sensibilità. Una formazione ed una convinzione.
Quando entriamo in contatto, ossia quando comunichiamo con qualcuno, in gioco ci sono molteplici fattori ed ogni volta possono essere diversi. Dalla voglia di comunicare, alla stanchezza, dal piacere del discorso oppure ancora alla difficoltà che si può incontrare nell'affrontarlo.

Alla base di questa interazione, si questa verbale o non verbale, a mio avviso dev'esserci l'educazione.
Educazione che io intendo come rispetto. Come apertura all'ascolto attivo ed alla comprensione.

Quando lavoravo con una ragazza con disabilità le dicevo sempre, rispetta i tempi di conversazione, cerca di non urlare che tutti - o quasi - abbiamo un buon udito, per quanto puoi (visto che la memoria è buona) ricorda quello di cui si parla e non spezzare il discorso perchè tu hai voglia di iniziarne uno nuovo, c'è tempo tutto.
In sintesi cercavamo di lavorare sull'educazione che si dovrebbe tenere in una conversazione. Ed ogni occasione era buona per potersi sedere e parlare un pò.

Spesso, però, dimentichiamo tutte queste "regole", ci arrabbiamo se il nostro interlocutore non sa cosa rispondere, lo aggrediamo quando la sua idea è diversa dalla nostra, non tolleriamo che una risposta sia incompleta oppure non ci soddisfa appieno. E se verbalmente questo tipo di reazioni sono visibili e valutabili, nella comunicazione scritta, in quella che si usa sui social network, lo sono un pò meno.
Siamo di fronte a delle parole alle quali noi attribuiamo un suono ed un'intonazione ma, quando le parole ci risultano palesemente provocatorie, che fare?
Sicuramente ricordarsi che esiste l'educazione è un'arma affidabilissima.
Rispondere a provocazione con provocazione - forse - non porta da nessuna parte. 

Il meccanismo circolare della comunicazione verrebbe spezzato se ci infilassimo a gamba tesa.
L'educazione, il rispetto, il discernimento ci possono venire in aiuto quando ci troviamo in difficoltà di fronte a queste situazioni.
Il rispetto e l'educazione, però, non vanno confusi con la classica espressione "farsi mettere i piedi in testa", partiamo dal presupposto che tutti hanno un cervello e che sia il nostro che il loro merita considerazione e riguardo. Perciò non dobbiamo nè soccombere nè aggredire ma, dialogare con rispetto ed educazione.

La comunicazione è un potente strumento, cerchiamo di curarlo a dovere prima che si arrugginisca e si finisca col doverlo accantonare e porlo dentro una teca allarmata di qualche museo lasciando tutti con la bocca aperta.

venerdì 27 gennaio 2012

27 gennaio giornata della Memoria.

Il 27 gennaio del 1945 sono stati aperti i cancelli di quello che è diventato l'emblema dello sterminio nazista, i cancelli di Auschwitz.
Non voglio fare un articolo storico ma, doverosa era questa introduzione.

67 anni fa sono stati aperti i cancelli di una prigione, di un campo di sterminio, sono state spalancate le porte della libertà. I prigionieri sopravvissuti sono l'esempio di quello che accadde ed è inutile negare.
Quella libertà cosa sta a rappresentare?
Che un ebreo, un omosessuale, una persona con disabilità ed un qualsiasi essere umano - una persona - deve essere libero, libero di vivere la propria esistenza senza dover essere rinchiuso. Nè da sbarre del pensiero nè da prigioni fisiche. 
La diversità è un valore, il razzismo e qualsiasi altra costruzione del nostro pensiero non deve limitare l'espressione a 360° di una persona, che in quanto tale, ha una dignità che mai dev'essere calpestata.

I campi di concentramento di allora erano luoghi, di terrore, fisici. Il pensiero e le ideologie che minano la libertà di espressione, di essere e di vivere sono in ugual modo luoghi di terrore, astratti. Sono le conseguenze che ne derivano ad essere concrete e questo ci insegna che dal passato non abbiamo appreso nulla.

"Condanniamo" chi ha il colore di pelle diverso dalla nostra, "additiamo" chi ama una persona dello stesso sesso, "allontaniamo" chi ha una qualsiasi forma di disabilità. E di esempi ce ne sarebbero ancora ma, chi è il diverso? Chi è in "errore"?

Non dimentichiamo, non neghiamo e sopratutto non ripetiamo gli orrori / errori di un tempo, costruiamo un domani migliore di accoglienza e di inclusione


Chiara

mercoledì 25 gennaio 2012

Analisi a una (giovane) me stessa

Mi siedo, chiudo gli occhi e cerco di respirare regolarmente affinché il mio respiro sia meno affannoso.
Non corro mai, spesso sono seduta ma, sono in affanno.
Non cerco di immaginare luoghi immacolati, prati verdi o cieli tersi. Voglio soltanto immaginare il nero. Calmare il mio cuore ed i miei polmoni e percepirmi.

Oscillo fra momenti di equilibrio, dove sento il mio mare tranquillo e felice di essere esteso, e fra momenti di inquietudine dove, il mio mare è in tempesta, vorrebbe solo seccarsi e non essere più, mare. Ma terra arida.
Cammino, muovo un passo e sento il vuoto, vi volto e vedo i miei successi che si spengono piano piano, a cosa sono serviti?
Decido di sprofondare nel vuoto, forse, è il luogo adatto a chi, come me, è al mondo ma non ne fa parte. Non sa nulla di quello che è apparenza ma, è sceso in profondità e quello lo rende - per dirlo con le parole di un amico - una scheggia, però si è sempre troppo per poter essere accettati.
Non mi sento uno scheggia avrei voglia solo di poter iniziare il mio cammino ma, sono "mancante", non possiedo le risorse (mentali sì, forse fisiche) per potermi vendere, e sono costretta a rinunciare.

Nessuno si fa domande, tutti restano in silenzio, qualcuno chiede a chi crede mi sia vicino. Ed essendomi vicino non rivelerà.

Queste non sono parole di scarsa autostima, di mancanza di coraggio. Sono parole di assoluta consapevolezza di essere nel mondo sbagliato, di essere l'omino in contromano in autostrada che dà dei "pazzi" a tutti gli altri. Cosa non va in me, in tutti i miei coetanei?

Troverò la mia pace e non sarò più nell'ombra del nulla. 

Chiara

martedì 24 gennaio 2012

Da bamboccioni a sfigati, dal declassamento della laurea alla voglia di ribellione

Mi guardo indietro.
10 anni fa ero davvero uno spirito libero, nessuno mi poteva tenere, era una battaglia persa. Non era per partito preso ma, una scelta di vita. Vivere libera e sentire il mondo. Percepirlo. Se non lo fai quando hai 15 o 16 anni quando credi di poterlo fare?
Bè, sempre! Ogni giorno che passa. Rispondo io. Ma... mi accorgo che mi sono fatta imprigionare. Ho lavorato, ho studiato, ho lavorato ancora e studiato ancora. Ora "non studio più" e non lavoro più.
Bell'afffare, ma la colpa è tutta mia?
Sono io ad ad aver sbagliato od è il sistema ad essere malato, schizofrenico?
Io non ho sbagliato, ho seguito i miei ideali, volevo fare la differenza a questo mondo ed ho intrapreso un corso di studi che, credo, mi possa permettere questo. Però, mi ritrovo a non saper dove andare, come andare, non vado bene perchè sono o sono troppo o sono troppo poco.
Non vado bene perchè una laurea triennale non è una laurea vera, ma grazie a quella laurea ho superato un esame di Stato e sono - da Loro - abilitata.
Insomma, cosa c'è che non quadra in questo mondo, in questo sistema, in questa società?

Manca la voglia di ribellarsi. Non sono i blocchi a fare la differenza, o meglio non così.
Siamo noi i diretti interessati, domani non sappiamo cosa ci aspetta e perchè non prendere in mano coraggio e dignità?
Ci vogliono muti? E noi parliamo
Ci vogliono poveri di cultura? E noi leggiamo e studiamo
Ci vogliono portare via il domani? E noi gli blocchiamo il presente, paralizziamo in tutti sensi l'Italia, tutti i settori. Prendiamoci ciò che ci spetta.

Chi non ha 28 anni e s'è laureato non è, per ragionamento, sfigato ma, se non lavora cos'è? Doppiamente sfigato, ergo se vogliamo avere un domani concreto, serio e soprattutto se vogliamo sentirci partecipi e presenti rivendichiamo ciò che è nostro!

Facciamoci sentire! Dal basso, facciamoci sentire.

lunedì 23 gennaio 2012

Se non era questione di titoli accademici, allora...

...è questione di "Ateneo di provenienza".
Certo, studiare in una determinata parte dell'Italia, in quella determinata Università vale molto di più che aver studiato in un'altra Università.
Come non averci pensato prima??

Non valorizziamo la conoscenza, non diamo il giusto peso alle competenze acquisite ma, sì mettiamo in luce un Ateneo piuttosto che un altro e così sia.
Perchè dare valore al corso di Laurea ed alla persona che ha conseguito il titolo?
Troppo difficile.

Dimmi da che Ateneo vieni e ti dirò chi sei!
E se puoi accedere a tal concorso e quanto vale in termini di punteggio.

Ed ancora, perchè fare distinzioni fra lauree? No, tutte uguali ai fini concorsuali "se la posizione non richiede competenze specifiche" anzi, varranno anche le esperienze maturate nel settore.

Insomma,  niente è come prima tutto è come prima.

Ed ora, con la mia cara e costosa pergamena di laurea mi consolerò, potrò coprire l'ennesimo buco sul muro, che, quel chiodo ostinato, ha lasciato.
Voglio concludere ricordando quello che già ho scritto, non è il titolo, non è la provenienza geografica e non è l'Ateneo a fare il professionista, a fare la persona. Sono le qualità umane, la maturità, il buon senso e l'integrità.

Non è il titolo di "dottoressa" a rendermi migliore, sono uguale a tutte quelle persone che non hanno avuto nè tempo nè modo di proseguire gli studi.


Chiara

mercoledì 18 gennaio 2012

Non è solo questione di "titoli accademici"

No, il lavoro di cura e di aiuto non si basa solo su quanti titoli si sfoggiano o sul muro o sul curriculum.
Il lavoro di cura ed il lavoro di aiuto vanno oltre, lo studio certamente è importante ma, sono necessarie altre qualità.
Passione, cuore, sentimento, conoscenza di se stesso ed i propri limiti, maturità ed infine buon senso.
Unendo tutti questi "ingredienti" insieme ad un titolo accademico fanno di una persona un professionista, se ci limitassimo solo al titolo avremmo un manichino e non un uomo.
I medici, gli avvocati e così anche gli assistenti sociali, gli educatori (e così via) sono persone, sono uomini ed ovviamente non sono immuni da errori ma, quando quelli che "l'opinione pubblica" considera errori, vengono posti in essere volontariamente, il confine fra errore e reato è molto sottile e, va ben rimarcato.

Nello specifico faccio riferimento ai maltrattamenti che sono stati "svelati" nella casa di cura a SanRemo.
Le telecamere hanno rivelato quello che il personale della casa di cura metteva in atto: abusi, maltrattamenti, botte, gli anziani erano senza cibo e vivevano in condizioni igieniche precarie. Così "sopravvivevano" questi anziani, che, vorrebbero trascorrere gli ultimi anni della loro vita in tranquillità e forse anche un poco viziati, perchè no?
Hanno già dato molto durante la loro vita, adesso tocca agli altri ad alleggerire il carico, ed invece, come per gli asili, ecco che anche le case di cura si macchiano di reati.
Mi chiedo se questo è dettato solo dalla mancanza di professionalità, oppure dietro questi comportamenti - reato vi siano altri problemi?
Frustrazione?
Incompetenza?
Rabbia nei confronti della vita?
I motivi potrebbero essere tanti ma, nessuno di questi può giustificare il dolore arrecato a queste persone.

Dovremo ragionare a fondo quando ci avviciniamo ad una professione, riflettiamo bene se quello che andiamo a fare lo vogliamo realmente, prendendoci annessi e connessi. Oneri ed onori.
E chi si trova nella posizione di assumere personale non lo faccia solo basandosi sul curriculum, può essere ricco di titoli e formazione ma, mancare di umanità e passione.

Valorizziamo la componente umana, sempre. Il titolo accademico è un bel riconoscimento, certo, ma quando sorridiamo ad un anziano, quando diamo la mano ad un bambino, quando ci sediamo a parlare con una persona con disabilità le nostre lauree non ci serviranno a molto.

Chiara

lunedì 16 gennaio 2012

Po..po..povera Gaia

Caparezza mi perdonerà se sfrutto una sua frase per dare il titolo a questo mio pensiero, a questo mio articolo ma, stando a quello che sta accadendo, non c'è frase migliore.
"Povera Gaia".

Da figlia di Gaia, quale sono, non posso restare indifferente.
Guerre, suicidi, omicidi e navi che si schiantano contro uno scoglio ed un'altra pagina di storia viene scritta. Una triste pagina.

Ci si interroga se l'errore sia umano, se siano state le macchine e nel frattempo Gaia, per l'ennesima volta, si trova in pericolo.
Il mare che abbraccia l'Italia, il nostro Paese, rischia di diventare un'immensa marea nera.
Il patrimonio che possediamo rischia di andare perso.
Vite umane sono state interrotte, ingiustamente.

Non riesco ad essere indifferente, non possiamo tacere e non possiamo non provare tristezza ed amarezza.
Che sia un errore umano, che sia un difetto elettronico, quello che è accaduto in mare, e quello che sta accadendo nel mondo, non può essere nè sminuito, nè dimenticato e nè archiviato.

Le parole magiche di questa sera sono: responsabilità e futuro.
Se non ci assumiamo oggi le nostre responsabilità, domani, non ci sarà futuro.
Avremo solo rovine e poco altro.


Chiara

domenica 15 gennaio 2012

Le baby sitter del nuovo millennio

E' uno dei lavori che le giovani studentesse prediligono, occupa qualche ora al giorno, se viene remunerato qualche si deve, permette di guadagnare qualche euro per coprire le spese più urgenti.

Col tempo, però, ha perso la sua "importanza" nel panorama dei lavori più in voga fra i giovani, complice la crisi che ha spinto i genitori ad affidarsi, quando possono, ai nonni e complici, soprattutto e purtroppo, i video games.
Siamo passati dalla playstation, alla xbox  come console da collegare alla tv e passarci le ore, ai giochi per i personal computer ed anche loro richiedono ore ed ore, fino ad arrivare alle console portatili, che stanno in una mano, che vengono comodamente riposti in borsa dal genitore, e che tengono occupato il figlio, incollandolo a quello schermo come se fosse un magnete con la calamita.

Sempre più spesso mi capita di osservare scene di questo genere, in treno dove per poter leggere una mamma ha consegnato il miracoloso giocattolo al figlio, in metropolitana dove per poter parlare al cellulare, la mamma ha estratto da una custodia rosa l'attesissima console e l'ha data alla figlia senza troppi preamboli.
L'ho visto in panetteria, dove la mamma panettiera, nel retro aveva il bimbo che ogni tanto veniva a fare capolino accanto al bancone. La mamma impegnata a fare il suo lavoro ha chiesto gentilmente al suo pargolo di giocare con la sua "diavoleria" che lei doveva lavorare.

Mi ha colpito quest'ultima scena, soprattutto, in quanto questa panetteria è collocata in luogo strategico, accanto ad una scuola elementare dove le mamme, ogni giorno entrano con i loro figli, per prendere la merenda. Ed anche quel giorno, in quel momento c'era una mamma con un bambino. Un bimbetto dagli occhi vispi che ha iniziato a fissarmi, ed io gli ho sorriso e scambiato qualche parolina.
Avrò avuto circa 20 anni più di lui, ma ho voglia di accovacciarmi e scherzare e scambiare qualche parola con un bimbo, ma mi chiedo perchè una mamma non ha la forza, la voglia o l'inventiva di spingere il figlio a socializzare, anche solo per pochi minuti, con un altro bimbetto?

C'è da riflettere, c'è da pensare. I video giochi impegnano il bimbo e lo portano in quel mondo senza essere di alcun disturbo ma, il mondo è fuori. E' alla luce, sotto la pioggia, nel verde e con la terra che sporca i pantaloni.

Chissà come sarà fra qualche anno, se i video giochi saranno davvero l'unico passatempo, oppure se...il gioco della settimana e la baby sitter che con il bimbo gioca per qualche ora, saranno tornate la "normalità"?

Chiara

venerdì 13 gennaio 2012

Si potesse fermare il mondo per un attimo...

...fosse davvero possibile sarebbe realmente da fare per poterci fermare anche noi - tutti - e riflettere su quello che sta accadendo nel mondo, nel nostro paese, nella nostra città e nelle nostre case.

Il mondo attorno a noi appare schizofrenico, corre, va veloce e pare inafferrabile ma, al contempo, è inerme, apatico e nessuno presta più attenzione a nessuno. Appare più semplice curare il nostro piccolo orto anzichè vedere se il "vicino" può necessitare di una mano, di un consiglio o di una spinta.
C'è chi crolla sotto gli occhi dello Stato ma, quest'ultimo è impegnato a difendere se stesso.
C'è chi crolla sotto gli occhi del vicino di casa, e spesso è stato lui a farlo cadere.

Tutti piano piano stiamo affondando e nessuno ha la voglia e la forza di reagire.
Non si chiede la guerra, il nostro paese non ha bisogno di bombe.
Ha bisogno di destarsi dal torpore, deve alzare la testa e comprendere le dinamiche di questo mondo e non prenderle tutte per buone, perchè tali non sono.

Una canzone recita così "Chi arriva prima, aspetta!" effettivamente è così, perchè non decidiamo di partire tutti insieme, con uno scopo comune e cerchiamo di risollevare le sorti nostre e del nostro paese, che tutti (o la maggioranza) vogliono lasciare.
Le soluzioni sono alla portata di tutti, ognuno nella sua realtà, le può mettere in pratica.

Leggevo il commento di un mio amico su facebook che invitava a comprare la frutta dal contadino, a fare benzina in pompe bianche, che chiedeva di smettere di giocare ai classici lotto, gratta e vinci e simili.
Appoggio la sua idea, iniziamo col riappropriarci dei nostri valori, dei nostri "vicini", di quello che c'è stato tolto.

La dignità, la sicurezza, la fiducia e la stabilità.

E so che queste possono essere solo parole, ma "conosco" grandi predicatori che hanno smosso le masse, non faccio i nomi ma, se è stato possibile per loro, può esserlo anche per noi a distanza di decenni, no?
Una parola, un gesto ancora una parola e due gesti.

Chiara

martedì 10 gennaio 2012

A caccia di giovani

Uscire, camminare (e non correre) per strada ed osservare le persone, mi ha permesso - in precedenza - di vedere come i visi delle persone sono contriti e spenti, mentre in questi ultimi giorni mi ha permesso di notare che i giovani sono scomparsi dalle nostre vie.

Al mattino, in posta, in banca, dal panettiere dal tabaccaio ho potuto incrociare sguardi solo di anziani. Alcuni di questi molto cordiali, che hanno anche voglia di scambiare due parole, che non nego mai, altri invece sono raggomitolati su loro stessi, che permettono di capire quanto pesante sia il cammino della vita.
Non mi dovrei stupire, è mattina, fra scuola e (chi lo ha) lavoro, i giovani sono impegnati.

Al pomeriggio, passeggio ed osservo e nei bar della mia zona non ne vedo, in strada ne vedo pochi, magari alla fermata di qualche bus o qualcuno fermo davanti a qualche vetrina (immerso nei suoi pensieri) ma, camminando camminando, l'occhio mi cade nel parcheggio di un discount.
Eccoli!! Sono lì, un bel gruppo, saranno più di una dozzina.
Che faccio? Sì, entro nel discount per poter capire meglio che ci fanno lì.

Nulla!! Non hanno amici che fanno la spesa, non attendono genitori o parenti, nulla sono lì, con qualche bottiglia a fare nulla. Alcuni si arrampicano uno sopra l'altro, altri ridono, altri ancora hanno lo sguardo spento come se, guardare i suoi amici, fosse un film.
Non mi sono avvicinata a loro, in passato ho ricevuto anche qualche parolaccia, mi sono limitata all'osservazione e mi sono chiesta perchè stare lì, in quel parcheggio a bere e fumare qualche sigaretta anzichè sfruttare il tempo con qualche attività più avvincente, fosse anche vedere un film, al caldo e senza bottiglie.
Inoltre, nessuno s'è avvicinato a loro, solo sguardi e via, per la propria strada.
Io anche.

La sera, bè anche la sera la mia città non è popolata da giovani, una sera ho potuto contare quanti eravamo in strada, in 6; nel locale in cui siamo entrati in 4.

Il motivo? Il perchè?
Il freddo, la noia, la voglia di stare in casa anzichè cambiarsi ed uscire, i soldi che non ci sono per potersi pagare l'uscita, od altri motivi? E perchè bere in un parcheggio di un discount?

Dove siamo finiti?
Venite a cercarci?

Chiara

domenica 8 gennaio 2012

Morire per ...o morire di lavoro?

Ho letto l'articolo di un amico e collega in merito all'aggressione di un'assistente sociale da parte di un utente con un macete. La vittima si è salvata per pura fortuna che si può misurare in centimetri.

Le aggressioni non sono una componente solo del lavoro dell'assistente sociale ma, di tanti altri lavori e questo è quello che mi sono sentita di rispondere. Parole al vento?
Verranno mai ascoltate? Avremo mai un mondo in cui, ogni professione, di cura, di aiuto...qualsiasi abbia un riconoscimento che vada oltre i classici e fuorvianti stereotipi?
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Poche settimane fa, su facebook, ho postato un articolo risalente a 10 anni fa dove venivano elencate le colleghe che hanno perso la vita (ma guadagnato una medaglia) mentre svolgevano il loro lavoro, l'assistente sociale.
Che se ne fa la famiglia di quella medaglia? Non è un riconoscimento, il riconoscimento lo avrebbero avuto, e lo avremmo tutti, se da oggi e negli anni a venire potessimo fare il nostro lavoro, senza pregiudizi, senza ignoranza e senza pericoli. 
Con questo non voglio vedere assistenti sociali con la scorta stile vip, sarebbe ridicolo, ma vedere una professione legittimata e non declassata, vedere l'"esercito" di assistenti sociali poter fare il suo lavoro con i mezzi e gli strumenti necessari, potendo anche dialogare con l'utenza - tutta - senza il terrore di dover dire "no, non possiamo per..." i più svariati motivi, che spesso, per quanto il professionista sia bravo, quel "no" viene preso sul personale e non è possibile gestire nel migliore dei modi.
Il periodo che stiamo vivendo e che vivremo è costellato di episodi di violenza, non devono aumentare, deve solo sparire, lasciando il posto ad una società che sotto tutti gli aspetti deve considerarsi civile.

Diritti esigibili, risorse, servizi, giustizia sociale, uguaglianza, riconoscimento, dignità.

Chiara

venerdì 6 gennaio 2012

Dobbiamo crederci

Passeggiare per strada, che sia per piacere o per correre e sbrigare una commissione, rivela un'amara realtà.

Guardare gli occhi delle persone fa capire che sono spenti e che non brillano più,
Osservare i visi permette di accorgersi che i lineamenti sono tirati e gli angoli della bocca piegati all'ingiù,
Le rughe sulla fronte e sugli occhi disegnano l'amarezza del momento che stiamo attraversando e vivendo, nostro malgrado. Non lo abbiamo scelto, non lo abbiamo voluto.
E' arrivato, un pacco regalo non desiderato che non possiamo (forse) rimandare al mittente.

Riflettendo mi chiedevo come e se fosse possibile reagire a questa situazione deprimente e depressiva, al periodo di sacrifici e di insoddisfazioni ricorrenti.
La soluzione a cui ho pensato, con difficoltà e forse con difficoltà si riuscirà a mettere in pratica, è il pensiero positivo.

Credere in noi stessi, credere nelle nostre capacità, credere che abbiamo un potenziale e che nessuno può spegnerlo ma, che dobbiamo coltivarlo, attendere anche cinque anni, tempo di attesa per vedere crescere il bambù cinese (ma poi cresce fino a 25m di altezza).
Dobbiamo avere fiducia nel potere della mente e nel potere che hanno gli uomini se si uniscono e cercano di superare le difficoltà.

Ognuno pensa per sè da qualche tempo a questa parte, l'individualismo imperversa con conseguenze tremende, nessuno s'accorge dell'altro, della sofferenze che sta diventando sempre più comune, ecco, dunque cerchiamo di ritrovare il valore della condivisione e dell'unione.

Di forze, di pensieri, di menti e di sentimenti.

Chiara

mercoledì 4 gennaio 2012

Il mondo "carcere" dalla prevenzione alla morte

...c'è di mezzo il mare.
Si leggono i rapporti, carceri sempre più piene, gli opg che sono in condizioni pietose, troppi detenuti in attesa di giudizio ed infine che i suicidi sono in aumento.

Fermiamo un attimo il mondo e ragioniamo.
Esiste un codice penale, esistono delle regole di condotta, viviamo in società e gli avvenimenti spesso contingenti condizionano le condotte e gli stili di vita.

Quando si perdono i valori, quando vengono presi come esempi "vite" estreme, quando l'apparire prevale sull'essere è inevitabile che i meccanismi si inceppino e la macchina "penale" venga messa in moto.
A ben vedere, però, se si potesse agire prima, ossia lavorare di prevenzione, forse determinati atteggiamenti, comportamenti e condotte potrebbero essere contenute.
Prima di entrare nel sistema carcere, che è necessario se utilizzato al fine di ri-educare il condannato, sarebbe auspicabile che ogni cittadino potesse vivere vedendosi garantiti i diritti esigibili, che i servizi gli fossero garantiti, che le leggi fossero applicate ed infine che il territorio fosse veramente valorizzato, come espressione del bisogno ma, soprattutto come luogo di prevenzione e lavoro di rete e comunità.

Poniamo il caso che, però, un cittadino a seguito di una pena definitiva debba entrare in un carcere sarebbe opportuno che, all'interno delle mura, non venisse annullato come uomo ma, bensì ri-educato. Che abbia a disposizione un équipe in grado di sensibilizzarlo e far capire che il fatto commesso è un reato e che è necessario intraprendere un percorso ri-abilitativo e non stigmatizzante. E' necessario avere personale preparato e soprattutto risorse, evitare suicidi e che il "reo", abbia la reale possibilità, una volta scontata tutta la pena, di rientrare in società, ed essere - perchè no - una reale risorsa.

Parole d'ordine: prevenzione, ri-educazione e risorse umane e materiali.


Chiara

martedì 3 gennaio 2012

Quando cercare lavoro diventa il lavoro

"Tempi duri.
C'è crisi.
Sei troppo qualificato.
Non hai abbastanza esperienza.
Devi sapere almeno due lingue straniere.
Uso del pc certificato e perfetto.
Le faremo sapere".

Potremo quasi musicare queste poche frasi che, il risultato, sarebbe triste e mesto ugualmente.
Noi giovani che, con speranza e sogni, siamo perennemente inadeguati.
Non riusciamo mai a "spuntare" tutti i requisiti richiesti da un annuncio di lavoro. Sempre che questi annunci ci siano, eh!

E' una desolazione il mercato del lavoro, se vuoi lavorare devi essere wonderman/woman ed ancora non basta. Non siamo più il futuro sul quale investire, siamo una massa di persone che pesa sui "diversamente giovani" come sono stati definiti da "La Stampa".
Noi giovani usciamo dalle aule di scuola aggiornati, formati e siamo pronti a lanciarci in ogni tipo di esperienza, pronti a metterci in gioco e con la voglia di affiancare chi è esperto...bè non siamo mai adeguati.
Quindi in mancanza di lavoro, lo cerchiamo. Lo meritiamo.

Affannati corriamo su internet per trovare le offerte, sfogliamo i giornali spogli di annunci, desolati rinunciamo a proposte che non hanno nè capo nè coda, le truffe sono dietro l'angolo ed i concorsi un miraggio.

Quale sarà il nostro futuro? Cosa dobbiamo fare per far sì che qualcuno abbia il coraggio - perchè solo di questo si tratta - di rompere le regole e le resistenze e credere i noi.

Abbiamo idee, abbiamo voglia, abbiamo entusiasmo ed abbiamo tempo.


Chiara

lunedì 2 gennaio 2012

2012 anno nuovo...morte nuova

Cinicamente inizio il primo post di quest'anno.
Sfogliando il giornale e sentendo il telegiornale ho potuto apprendere che fra i botti (peraltro vietati) e la disperazione il 2011 lo abbiamo archiviato con morti e o abbiamo iniziato contando i defunti.

I botti erano vietati e non hanno dissuaso ma, è anche da sottolineare, che i pericoli che si corre "giocando" con i petardi ed affini li si conosce, perciò le conseguenze sono tremende ma, conosciute e da mettere "in conto".
I morti che hanno preferito uccidersi piuttosto che subire la crisi, no, non possono essere messi "in conto". Sta diventando sempre più frequente che l'imprenditore, che l'artigiano, che l'agricoltore preferiscono lasciare questa vita perchè non reggono il peso della sconfitta, la durezza con cui la crisi sta colpendo, e non c'è nessun antidepressivo che possa aiutarli.
La fabbrica chiude, il negozio tira già la serranda definitivamente, il padre non può mantenere la sua famiglia ed i figli si sentono sempre più un peso.

L'articolo ironico che campeggiava sulla prima pagina de "La Stampa" strappava sì un sorriso ma, il cuore veniva spaccato in quattro. «Saranno i "diversamente giovani" a portare avanti l'Italia, i giovani sono avviliti e gli adulti confusi».
Bene, se questo è lo scenario di inizio anno, come arriveremo alla fine?
Ci arriveremo o vedremo qualche segnale di ripresa e di presa di responsabilità?

Non è possibile dormire sonni sereni con morti sulla coscienza, non è possibile dimenticarsi dei cittadini e, questi ultimi, non possono dimenticarsi di essere i protagonisti della loro vita.


Chiara