giovedì 31 dicembre 2020

"L'anno che verrà" (L.D.) e un suggerimento

 "Caro amico, ti scrivo, così mi distraggo un po'

E siccome sei molto lontano, più forte ti scriverò

Da quando sei partito c'è una grande novità

L'anno vecchio è finito, ormai

Ma qualcosa ancora qui non va"


Nell'anno che verrà, un suggerimento: leggere "L'ora di lezione" di M. Recalcati 

Nell'anno che verrà, un suggerimento: ascoltare "Anche fragile" di Elisa

Nell'anno che verrà, un suggerimento: guardare "Tempi moderni" con Charlie Chaplin

Nell'anno che verrà, un suggerimento: guardare le 11 stagioni di "Shameless

Nell'anno che verrà, un suggerimento: contare fino a 10 prima di parlare

Nell'anno che verrà, un suggerimento: imparare a dire "no

Nell'anno che verrà, un suggerimento: pensa che "il meglio deve ancora venire" e  non smettere di sognare

Nell'anno che verrà, un suggerimento: chiudi gli occhi e respira

Nell'anno che verrà, un suggerimento: mettiti nella posa del supereroe e sorridi 

Nell'anno che verrà, un suggerimento: concediti di avere paura, ma traine forza 

Nell'anno che verrà, un suggerimento: cambia strada per raggiungere una destinazione e scopri

Nell'anno che verrà, un suggerimento: prova a restare solo con te stesso e godi della tua compagnia

Nell'anno che verrà, un suggerimento: coltiva speranza 

Nell'anno che verrà, un suggerimento: esplora e cerca "cose nuove"

Nell'anno che verrà, un suggerimento: prendi quel caffè con quella persona 

Nell'anno che verrà, un suggerimento: ascoltati di più

Nell'anno che verrà, un suggerimento: guardati intorno, fermati e rifletti

Nell'anno che verrà, un suggerimento: non abbatterti, cerca la chiave che apre quella porta

Sono suggerimenti che lascio a voi e che consegno a me. 

Il 2020 mi ha messa, più volte, in ginocchio...è il caso che mi ripigli per affrontare il nuovo anno!
Chiara



domenica 13 dicembre 2020

Riflessioni (in ritardo) sulla Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità

Riflessioni sulla Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità (in ritardo) e non solo...
le giornate internazionali servono a ricordare e puntare i riflettori sul tema,  è quanto si costruisce giorno dopo giorno, anno dopo anno, a rendere la celebrazione di quella giornata importante.
Pensieri, condivisi, a distanza, con chi ha esperienza diretta.

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 Il 3 dicembre, dal 1981, si celebra la Giornata Internazionale delle Persone con Disabilità e dal 1993 è anche la Giornata Europea delle Persone con Disabilità, così come voluto dalla Commissione Europea. 

Questa giornata è pensata per promuovere e sostenere la piena inclusione delle persone con disabilità e per porre l’accento sui diritti che comprendono ogni ambito della vita e della quotidianità e, quindi, contrastare discriminazione e disparità.

La convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, adottata nel 2006 e ratificata dall’Italia nel 2009, ha rinforzato l’importanza del rispetto dei principi di uguaglianza e di garanzia della piena partecipazione di queste persone alla vita attiva del paese, garantendo così i diritti civili e politici, come ricorda l’articolo 1.  

Al fine di dare concretezza a quanto la Convenzione ONU richiama, è necessario andare oltre il concetto di disabilità vista come limitazione o deficit fisico - intellettivo a cui la diagnosi medica fa pensare, ma leggerla secondo il Modello Sociale della Disabilità, secondo il quale tale condizione è la somma di diversi fattori sociali in interazione con il livello di deficit mentale o fisico. 

Per questo motivo l’importanza del contesto sociale assume un ruolo fondamentale: più è inclusivo e accessibile, più la disabilità diventa una delle variabili presenti nelle dinamiche della vita quotidiana. La dimensione sociale accogliente consolida l’appartenenza e la dignità delle persone ostacolate dalle diverse barriere architettoniche, digitali e culturali che, di fatto, ancora oggi impediscono la piena partecipazione nella società.

Il rapporto Istat “Conoscere il mondo della disabilità: persone, relazioni e istituzioni” del 2019 indica che, in Italia, sono 3,1 milioni le persone con disabilità, ovvero il 5,2% della popolazione e rileva che gli alunni con disabilità nella scuola italiana sono gradualmente aumentati fino ad arrivare a oltre 272 mila nell’anno scolastico 2017/2018.

La pandemia da Covid-19 ha colpito tutti, nessuno escluso e ha fatto emergere chiaramente l’importanza che ha un sistema integrato di interventi e servizi, all’interno del quale deve essere possibile per tutti gli attori sociali e i servizi preposti pensare, progettare predisporre e pianificare interventi mirati a garantire il più possibile azioni inclusive, personalizzate e innovative.

La situazione emergenziale ha messo in luce il valore attuale degli interventi a domicilio e della co-progettazione e integrazione sanitaria, educativa e sociale nella didattica a distanza: la relazione complessa di interventi a favore di minori e disabili anche a distanza, è diventata la sfida di questi mesi in cui l'esperienza digitale, ma anche l'accesso al digitale stesso, sono diventati i banchi di prova di bambini, famiglie e operatori.

Lo sforzo dei Servizi e degli Assistenti Sociali è stato e deve essere quello di connettere le risorse possibili e potenziali ai bisogni, anche non dichiarati, delle persone, ognuna delle quali ha delle caratteristiche specifiche. Il lavoro, tuttavia, non si esaurisce con l’incontro risorsa-bisogno, ma deve proseguire con l’implementazione e il consolidamento di una rete di sostegno proattiva.

La co-progettazione diventa, quindi, fondamentale soprattutto per attuare interventi innovativi e sperimentali, che diventino in futuro “buone prassi”.  Le condizioni sociali alterate dalle misure restrittive legate al contenimento del contagio devono essere uno stimolo per comprendere su quali fattori agire, per non lasciare nessuno indietro, ed evitare alle persone con disabilità di sentirsi doppiamente “mancanti”. 

La legge 328/00, che quest’anno celebra il suo ventennale, ricorda come definire Livelli Essenziali di Assistenza e delle Prestazioni e come l’adeguato finanziamento dei Fondi per le politiche sociali e per la non autosufficienza potrà garantire alle persone con disabilità la reale possibilità di ridurre i rischi di emarginazione sociale.


Chiara


lunedì 12 ottobre 2020

“Un tempo era grande il rispetto per una testa ricoperta di capelli bianchi.” Ovidio

Ciascuno di noi, credo, debba ammettere di avere un punto debole. Quello che, se sollecitato, ci fa tremare e smettere di essere così sicuri, così spavaldi.

Io, oramai, da anni ho chiaro quali siano i miei punti deboli, ma uno fra tutti è quello che mi spinge contro il muro e preme, preme forte, quasi da immobilizzarmi. 
E' il tempo che passa.

Non ho mai fatto mistero del fatto che i segni del tempo, le difficoltà che - per forza di cose - sopraggiungono mi creino un senso di inquietudine
Con questo, da anni, sto facendo i conti. Cerco di accettare quanto non posso cambiare e cerco di capire come fare per affrontare, al meglio, quello strano sentimento.

Il mio lavoro, però, talvolta mi mette di fronte all'inevitabile trascorrere del tempo e, sapendo di avere questo tallone d'Achille, ecco che mi attrezzo quando devo recarmi a casa di persone anziane, perché non voglio assolutamente che prenda il sopravvento la parte meno "razionale".

Di recente ho avuto la fortuna, sì la fortuna, di fare due visite domiciliari a tre persone anziane che conosco da qualche anno e che, in passato, hanno richiesto aiuto al Servizio presso il quale lavoro.
Mi son seduta a tavoli così ordinati, in case così calde e piene di amore, che mi son sentita quasi sciocca nel ripensare a quel mio punto debole.

Ho osservato le rughe di quelle donne, la malattia di quell'uomo, la forza di quella figlia ed ecco che mi son sentita privilegiata nel poter offrire un servizio di sostegno e supporto a quelle persone che hanno vissuto una vita piena, densa e ricca.

E' bastato allungare una mano (anche se non ci siamo toccati), è bastato un sorriso da sotto la mascherina, è bastato fare una telefonata per far tirare il fiato e alleggerire le fatiche che quell'età avanzata fa pesare. Il virus limita, ma la forza delle intenzioni e di una relazione di fiducia, no!

Ho ripensato anche a quel signore così elegante e così posato, così educato e così "di altri tempi" e che non ho potuto salutare...ho ripensato a quella signora occhi cielo con quelle mani così ossute e che, di nuovo, non ho potuto salutare...per capire che sì "quant'è bella giovinezza, che si fugge tuttavia! chi vuol esser lieto, sia: di doman non c'è certezza", perché tutte queste persone, in un tempo passato son state liete e di certo non si son fatte travolgere da sentimenti immaturi, ma anzi...hanno insegnato tanto e donato tanto e, inconsapevolmente, lo hanno fatto ancora. 
Con me e per me.

Questo è il mio lavoro, avere degli strumenti fra le mani e saperli usare, ma allo stesso tempo cogliere quanto di umano e prezioso c'è in una relazione.


“La mancanza di salute e la disabilità non sono mai una buona ragione per escludere o, peggio, per eliminare una persona; e la più grave privazione che le persone anziane subiscono non è l’indebolimento dell’organismo e la disabilità che ne può conseguire, ma l’abbandono, l’esclusione, la privazione di amore.”

Papa Francesco

martedì 21 aprile 2020

Tu chiamale se vuoi....emozioni (mentre lavoro da casa)






In questi giorni mi sento, esattamente, così.

Un pallina da flipper

Sbatto contro la rabbia, mi ritrovo contro una risata isterica, poi mi scontro contro l'impotenza, finisco contro la gioia di vedere un paio di colleghi via Skype; terminata la chiamata ho a che fare con il magone da gestire e il telefono che suona. Ancora!

Mi trovo con il filo degli auricolari del cellulare, che si ingarbuglia con quello delle cuffie collegate al pc, le varie notifiche audio e video che si sovrappongono e, proprio come quei fili, mi ritrovo aggrovigliata.
Tante cose da fare.
Risposte da dare.
Persone da richiamare.
Una riunione alla quale partecipare.

Una donna che piange, un uomo che cerca di spiegarsi e non riesce, una ragazza che prova a star dietro alla nuova dimensione famigliare. Un adolescente che cresce e che cerca di dare un senso a quanto sta accadendo.
Una collega che chiama, ma "aspetta che suona il fisso e ti richiamo" e quel ti richiamo diventa una lunga sfilza di messaggi WhatsApp perchè "non riesco a richiamare, scriviamo".

Il pensiero che corre e lo sguardo che cade sul foglio con "cose da fare" che non diminuisce, ma aumenta e le ore che ti sfuggono dalle mani; il tempo corre, vero?

E io che cosa sto facendo?

Lavoro? Corro? Annaspo? Tengo botta? 

Quello che è certo che ho scoperto la meraviglia del silenzio, io. Proprio io che detestavo il silenzio perché mi metteva faccia a faccia con i miei pensieri.
Adesso no, mi restituisce una sorta di normalità che, talvolta, manca da far quasi male!

In quel silenzio, però, prendono anche posto, forma e significato ogni singola emozione provata durante la giornata. 
Sento i muscoli che si distendono e le mascelle meno serrate. 
La rabbia che ho provato, lascia spazio alla leggerezza.
Posso chiudere gli occhi che bruciano e correre con l'immaginazione.
La fatica della giornata e la tristezza di alcuni momenti condivisi con chi ha intercettato la mia voce, si sposta. Non svanisce, si allontana un pò per far passare la "stupidera" con una collega lontana km, ma vicina con l'anima.

Questo è.

Ligabue canta: "Giorno per giorno, sempre ballando, non prendere mai questa vita né poco né troppo sul serio"  e Ligabue resta pur sempre il mio cantante preferito

Chiara













giovedì 9 aprile 2020

Buoni spesa - questione di etica, buon senso, onestà o...

E' da quando il Presidente del Consiglio, Conte, il 28 marzo scorso ha annunciato i "buoni spesa" che sono entrata in un tunnel cupo e insidioso, non facile né da reggere né da gestire.

I "buoni spesa" non devono essere intesi solo come un mero voucher che "mi prendo per far la spesa", dietro c'è altro, tanto altro. Mi riferisco al lavoro, alla riflessione e al pensiero. Non solo sull' "oggi", però.

In questi giorni i telefoni sono "roventi", chi chiede aiuto per compilare le domande, chi chiede se potrà essere beneficiario, chi inizia a raccontare una serie di lunghe disgrazie che, poi, col buono non avevano nulla a che fare.

I Servizi Sociali giocano, insieme ai Comuni, un ruolo centrale, ma come tutti i ruoli, va preso con la dovuta serietà; la partita che stiamo affrontando non è il derby di paese di Serie C, ma la finale di Champions League. 

Abbiamo il dovere di facilitare l'accesso alle domande, di spiegare cosa sono questi buoni e il motivo per cui sono stati pensati e le relative modalità di erogazione, di fare da filtro. Ebbene sì, non tutti hanno diritto ai "buoni spesa", non per cattiveria, ma perché vi sono dei requisiti, come è giusto che sia, perché non tutti siamo stati colpiti in egual maniera dal "Covid-19". C'è chi è più "fortunato" e ha ancora un lavoro che può portare avanti con tutte le misure di sicurezza del caso e che, con quel lavoro, può pagare le spese.
C'è chi, invece, ha visto chiudersi le porte in faccia, chi è stato "lasciato a casa", chi è in seria difficoltà e le conseguenze dell'emergenza iniziano a farsi sentire. 

In questi giorni sto accompagnando diverse persone nel fare la richiesta e, come sento dire spesso, "senta io ci provo", ma perché provarci? Ragioniamo insieme se si è o meno destinatari. E' corretto comprendere fino a che punto spingersi, perché poi, onestamente parlando un rifiuto non fa mai piacere, è bene comprendere prima, che rimanerci male dopo e magari prendersela con le persone sbagliate.


Anche i "decisori" devono mettersi in quest'ottica, soprattutto perché "l'oggi" terminerà e come ha spiegato, di recente, un docente di "storia della medicina", Grignolio, il cervello dell'Homo Sapiens è dipendente dalla contingenza e quindi: quando c'è il rischio percepito il cervello ricorre, mentre quando il rischio non c'è più, ci dimentichiamo.
Ed ecco che: no, non ci dobbiamo dimenticare!
Il domani, ad oggi sconosciuto, risentirà fortemente di quello che stiamo vivendo e non possiamo pensare di affrontarlo quando arriverà. Le conseguenze socio economiche di questo virus sono già immaginabili e tangibili adesso, e quindi è fondamentale ricordarsi che i "buoni spesa" sono un tassello, ma che le manovre che andranno pensate, che i servizi che dovranno essere erogati non dovranno essere "solo" economici; che le politiche non dovranno essere di tagli, ma generative. 


Sono crollate le certezze, sono crollate le illusioni, sono crollate le (false) sicurezze. 
Quando qualcosa crolla va ricostruito, dal basso e possibilmente più solido di prima e in grado di ammortizzare gli scossoni futuri.


Non dobbiamo perdere questa finale di Champions, ma dobbiamo ricordarci anche che ci sarà, metaforicamente parlando, tutto il prossimo campionato da giocare.

Chiara

"Bambina filosofica - Vanna Vinci, 2007"

giovedì 26 marzo 2020

"Fa' che non sia una follia credere ancora nelle persone" L.B.

Mi ero ripromessa di non scrivere, avevo deciso che avrai lasciato sedimentare un pò.
Avevo deciso che la sera non avrei pensato al Covid-19, alle lacrime, ai sospiri, all'impotenza, alla fatica e alla rabbia.

Invece no, eccomi! Incazzata. Atterrita.

Non ce l'ho con il Governo, né con tale forza politica o con il vicino di casa.

Sono arrabbiata perché oggi siamo in una situazione tale per cui cerchi di "inventare" di tutto pur di aiutare qualcuno, lo sconosciuto...ma riflettiamo bene, quello sconosciuto potremmo essere noi!

Mia mamma.

Tuo padre.

Tuo nonno

Mio zio.


Oggi mi hanno fatto notare che "siamo in guerra" e che, se siamo in guerra, "tutto è concesso".

Ah sì? Siamo in guerra?
La guerra è quello che ho visto in Siria.
La guerra è quella che ho visto in Nigeria.
La guerra è quella che ho visto in Libia. E così in altri luoghi.

Noi siamo in emergenza sanitaria.

Abbiamo bisogno di umanità, di vicinanza, di capire quando è fondamentale derogare, quando allungare una mano e quando dare tutto il braccio.

Non abbiamo bisogno di sole regole, abbiamo bisogno di cuore e anche di coraggio.

Condividere. Che, voglio ricordare, è cum-dividere: il cum che predispone al rapporto, al dividere con.

E' qui che si gioca la partita il dividere con, è qui che ci dobbiamo soffermare e ricordarci che da soli non si va da nessuna parte, insieme sì, soprattutto in situazioni così spaventose, così nuove, così disarmanti.

La canzone, cantata dalla Mannoia e scritta da Barbarossa, "parla" per me



lunedì 16 marzo 2020

"La vita non è fatta dai desideri bensì dagli atti di ciascuno" P.C.

Sono giorni di hashtag, flash mob e meme sui social.

Voglio uscire un pò da quel mondo e tornare in quello reale, in quello dove - da qualche giorno a questa parte - si soffre, si ha paura, si resta smarriti, attoniti e impotenti.

Sono entrata in ufficio e ho osservato i miei colleghi chiedendomi per quanto riusciremo a tenere botta, leggo le diverse mail di lavoro che, piano piano, stanno modificando il modo di lavorare per fare in modo di essere tutti più al sicuro. Ascolto tante, ma davvero tante voci: una trema, l'altra è dolce, l'altra ancora è arresa e la mia? La mia cerca di essere forte, rassicurante, pronta.
Ogni volta che termino una chiamata, però, respiro, devo respirare.

"La mia bambina ha la febbre"
"Mia mamma è peggiorata, non volevo chiamare, ma non sapevo più chi chiamare"
"Devo fare la spesa, chi può andare a fare la spesa?"

In giorni "normali" bè, la febbre, la spesa e una futura casa di riposo le vedrei come i giorni, "normali"; invece no! Oggi la febbre fa paura, la mamma che peggiora fa paura e la spesa (da fare e da consegnare) diventa più complicata.

Tutto è nuovo e tutto va compreso, tutto va rimodulato e tutto va ri-definito. 

I rapporti con i colleghi vanno maneggiati con cura, le persone vanno accompagnate con delicatezza, ma con mano salda, i telefoni vanno caricati una volta in più, le e-mail vanno controllate più spesso, le richieste che arrivano vanno prima comprese e poi gestite con le risorse che ci sono e non sempre sono sufficienti.

Questo ora.

E dopo? E domani? E fra qualche mese?

Quello che sta accadendo oggi deve insegnarci il valore della vita, l'importanza delle relazioni umane, il rispetto per ciascuno, la potenza dell'unione e della collaborazione.


Chiudo il posto ringraziando chi, con messaggi vocali e telefonate condivide la stanchezza e la follia che si porta dietro e chi, con un messaggio in segreteria mi ricorda di "tenete duro che ce la faremo!"

E...domani si festeggia la Giornata Mondiale del Servizio Sociale, si festeggia, sì perché riuscire a "sorridere in momenti di crisi è un atto rivoluzionario " diceva qualcuno di importante.

Chiara


martedì 28 gennaio 2020

"Siamo stelle cadenti, volatili fiammate. Sbocciamo nella notte del mondo. Una fiammata e ci spegniamo". J.G.

Dipèndere: dal latino dependère e significa "essere in necessaria relazione".

Essere in necessaria relazione

In questi giorni di "riposo forzato" come lo hanno definito alcuni, mi sono trovata di fronte a una nuova sfida; una sfida per la quale non mi sono preparata e non ero pronta ad affrontare. Non ero pronta ad essere in necessaria relazione.

E' una situazione, una condizione che - ad oggi - posso affermare che viene sovente sottovalutata, sia che riguardi noi stessi, sia - soprattutto - se riguarda l'altro.

Io per prima avevo sottovalutato l'impatto che un'operazione al piede (che credevo più semplice) potesse portare; ho sbagliato e tanto.

Non sono più completamente autonoma, i miei ritmi sono condizionati sia dal dolore che provo, sia dalla presenza o dall'assenza di qualcuno accanto a me; non mi alzo quando e come voglio, non corro, non ho la stessa resistenza fisica di prima e così via. 
Se provo dolore: mi devo fermare.

Se mi gira la testa: mi devo fermare.
Se ho bisogno di qualsiasi cosa: devo chiedere aiuto. Certo ho modificato l'ambiente intorno a me per essere il meno richiedente possibile, ma l'ovvio è: dipendo.

Un'amica mi ha chiesto: "cosa ti dà più fastidio: il dolore o l'immobilità?"
Ahimè il dolore, in qualche modo, lo si può gestire, la temporanea immobilità no. Sono condizionata e devo rispettare i tempi del mio corpo, allo stesso tempo, però, anche quello degli altri che mi stanno accanto.

E' difficile da spiegare, ma sicuramente ancora più difficile da vivere.

Siamo così abituati a correre, camminare, saltare, muoverci quando e come vogliamo, a soddisfare i nostri bisogno immediatamente: a essere indipendenti. Quando, però, anche solo una cosa viene meno ci troviamo spiazzati, ed è così che mi sono sentita.

Da qui una riflessione che da qualche giorno mi accompagna: nella mia realtà quotidiana quante persone incontro che si trovano in questa situazione? e quante in situazioni peggiori? 
Ecco sono loro che meritano la mia attenzione e il mio rispetto, loro e i loro parenti, i loro care giver.

Senza voler fare paragoni, ma solo una riflessione: penso ad una persona che non può più muoversi, ma è lucida, lucidissima. E' uomo, giovane, con la vita davanti e la sua famiglia accanto. Ora: la sua condizione lo ha privato di qualsiasi cosa, tranne della sulla capacità di pensare, di capire, di desiderare e di essere riconosciuto come uomo. 
A noi operatori un compito, non solo quello di fare un ottimo progetto di aiuto e sostegno a domicilio ma, quello di capire che - forse - l'ultima cosa che avrebbe voluto era quella di dover dipendere da tutti e che abbiamo il dovere di non ridurre l'intervento a un "fare", ma a un intervento rispettoso della sua persona, che lo valorizzi e che coinvolga la sua famiglia per evitare che "la necessaria relazione" si trasformi in un fardello che potrebbe aggravare un condizione così difficile.



Forse è banale, forse io ero a dare per scontate una serie di elementi. 
Ora non più.