martedì 1 dicembre 2015

"Ci sono quelle sere che sono più dure"

Ed eccomi qui, come sempre la sera, davanti allo schermo del mio pc a cercare un pò di conforto in quello che è il mio blog.
Cerco "conforto" perchè qui posso lasciare una mia riflessione, una traccia ed una parte di me, quella che devo tenere stretta.

Il mio lavoro è bello, bello davvero, ma a volte ti trascina via anche l'anima.
Al mattino il sorriso è così radioso che servono gli occhiali da sole per non rimanere accecati, ma ci sono sere in cui ti senti solo più un fiore appassito.
Non mi vergogno a scriverlo e sarebbe inutile negarlo.

Questa è una sera di quelle.
Non voglio e non posso scendere nei particolari, ma dar voce ai miei pensieri ed alla fatica che ha deciso di bussare alla mia porta credo sia doveroso.

Fatica nel pensare e progettare;
Fatica nell'accettare che determinate situazioni sono quelle che hai davanti agli occhi e nessuno, neanche Harry Potter con la sua bacchetta magica, le può cambiare;
Fatica nel credere che ci sia così tanto dolore e così tanto menefreghismo:
Fatica nell'arrendermi che nessuno ha i super poteri, ma solo un cervello, un paio di mani ed un cuore e quelli devono bastare;
Fatica nel guardarsi allo specchio e sperare che il sorriso amaro di quella signora possa aver trovato un istante di sollievo;
Fatica nel rendersi conto che le parole di quel "Dottore" stanno spiegando, davanti ai tuoi occhi, una verità amara da deglutire.

Essere un professionista, per me, significa anche fare i conti con questi stati d'animo e saperli prima affrontare, poi gestire.

Accoglierli con pacatezza.
Osservarli con attenzione.
Farci quattro chiacchiere brutali.
Tenerli accanto come fedeli compagni.

...ci sono quelle sere che sono più dure...





venerdì 20 novembre 2015

Dall'altra "parte"

L'ho sempre sostenuto: se di una determinata "cosa" non si fa esperienza non si può parlare.
Per me è davvero importante scrivere, o parlare, di qualcosa solo se la conosco e la posso argomentare.
Diversamente taccio! Ascolto e cerco, poi, di approfondire il più possibile.

Fatta questa breve premessa, voglio raccontare la mia esperienza di questi 15 giorni da "famigliare di un paziente ricoverato in ospedale".

12 ore di Pronto Soccorso con mia mamma pallida come un cencio e con diversi problemi ben spiegati al momento dell'accesso al Pronto. 12 ore durante le quali nessuno ha chiesto se mia mamma avesse fame, sete, sonno, dolore, anche semplicemente bisogno di una coperta essendo arrivata da casa in pigiama con l'ambulanza.
Chiedere informazioni, anche solo sul proprio codice di accesso, era come chiedere di svelare il segreto di Fatima, solo una tirocinante, che avrà avuto pena di me, mi ha poi detto il colore.
Fatti i dovuti esami, mi rassicuro che mia mamma non passasse la notte in corridoio sulla barella del Pronto e torno a casa. 
Alle 9.30 del giorno mi era stato detto di ripresentarmi e trovo mia mamma in corridoio. 
Perplessa.

Le chiedo se ha mangiato e mi risponde di no!
No?!? Dalle 6 del mattino precedente mia mamma non mangiava, solo un volontario attento e premuroso, una volta saputo che mia mamma non aveva mangiato, le ha portato del te e qualche fetta biscottata.


Alle 16 di quel giorno: ricovero.
La tensione si allenta, mi dicono (così come mi dicono in tanti) che ora sarà tranquilla, controllata, in un ambiente sicuro.
Ci volevo credere e, nonostante tutto, ci voglio credere ancora.

Ospedale, reparto di medicina interna, in Piemonte.

Passano i giorni e le cose non migliorano, appena accennano a migliorare mia mamma cade. Cade poi una seconda volta. 
Chiedo di parlare con il medico di riferimento ed è qui che io passo dall'altra parte.

Sono il famigliare e sono io ad aver bisogno di risposte.
Conosco l'accoglienza e la trovo fondamentale.

Senza presentarsi, ma in piedi sulla porta con la fretta di andare via, vengo liquidata con: diamo tempo al tempo. 

Diritto alle informazioni, all'accoglienza, dare un senso al ricovero di mia mamma, parlare con l'esperto e smettere di avanzare ipotesi da profana e, sopratutto, finirla con i "stai tranquilla" che no0n avevano neanche più l'effetto placebo.

Inizio, da quel giorno, a farmi domande che mi hanno portato a leggere (sì, per la prima volta), il codice deontologico dei Medici e l'articolo 20 così recita: «La relazione tra medico e paziente è costituita sulla libertà di scelta e sull'individuazione e condivisione delle rispettive autonomie e responsabilità. Il medico nella relazione persegue l’alleanza di cura fondata sulla reciproca fiducia e sul mutuo rispetto dei valori e dei diritti e su un’informazione comprensibile e completa, considerando il tempo della comunicazione quale tempo di cura».

Quest'oggi nuovo appuntamento dove non vengo nuovamente accolta, mia mamma era presente al colloquio e le dichiarazioni del medico sono andate oltre il limite dell'accettabile. Paragonare i pazienti, paragonare le patologie lo trovo poco professionale, invitare mia mamma e la sottoscritta a "fare un giro nel reparto oncologico perchè lì la gente annaspa" non l'ho trovato solo di cattivo gusto, ma anche maleducato e davvero poco etico.
Ho mantenuto la calma, ma prima di andare ho dovuto specificare a questo medico che: "un giro in reparto me lo sono fatto avendo perso i nonni causa tumori".

Mi sono congedata dando un bacio sulla guancia a mia mamma.

E' vero che non essere il professionista può far sentire più fragili, ma è anche vero che è nel diritto del malato, dell'utente e del paziente non soccombere sotto le dichiarazioni dei professionisti con i quali ha a che fare.


giovedì 1 ottobre 2015

Il racconto di un'immagine

Questa è una di quelle settimane che, sul lavoro, vorrei bruciare tutto e ricominciare daccapo.
Corri di qua.
Cellulare che scotta.
Firma di là.
Dimentica il navigatore ed affidati al tuo senso dell'orientamento.

Insomma: "fermate il mondo che mi gira la testa!"

Poi, però, ci sono frammenti di giornate che vale la pena di ricordare e di raccontare.
Voglio provarci.

«Una mattina qualsiasi, un'Assistente Sociale e la sua collega OSS si stanno confrontando sul signore che è appena uscito. 91 anni, magro, sguardo furbo, carattere un pò burbero con la sua cartellina sotto il braccio, ed infine, il cappello.
Era entrato per avere informazioni riferendo, inoltre, che aveva una visita da fare, ma che sarebbe andato da solo nonostante il dolore.

"Da solo?" si domanda l'Assistente Sociale e pensierosa esterna la sua perplessità alla collega OSS.
Quest'ultima specifica meglio la situazione dell'uomo che, da lì a poco, è rientrato in ufficio al seguito di un altro collega di lavoro.

I tre colleghi invitano l'anziano a sedersi e l'Assistente Sociale cerca di conoscere meglio quel signore che, però, non pare aver voglia di ascoltare, si vede che ha voglia di star "in compagnia", ma non di ascoltare.
Nessuno demorde e l'anziano signore decide di lasciarsi un pò andare, rimanendo contrario alle proposte delle due donne presenti, una seduta di fronte a lui, divisa da una scrivania, e l'altra distante a sufficienza per mostrare "scarso" interesse.
L'Assistente Sociale, quindi, si alza e prende una sedia libera e si siede accanto al signore che, decide di togliere il cappello "almeno per rispetto questo va tolto!"

Dopo averlo poggiato sulle gambe ossute si volta verso la giovane  e le dice: "ah ti siedi vicino a me, nè?!" mostrando un velato sorriso; l'Assistente Sociale, sorridendo a sua volte, risponde: "è giusto che mi sieda accanto a lei, così ci sentiamo e vediamo meglio!".

Il collega OSS, entrato da poco, coglie la palla la balzo e si rivolge al signore dicendo: "sai di dov'è la Chiara?", un cenno del capo ad indicare un ovvio "no" "è di Milano!".
Dopo aver sentito quelle parole si volta verso l'Assistente Sociale e le dice: "ma davvero?? e lo parli ancora il milanese? Io ho lavorato a Milano per 50 anni", "dove abitavi a Milano?".
Una raffica di domande, ma che hanno aperto una porticina, uno spiraglio che non va ignorato.

"Sì, di Milano ed abitavo in via Brioschi, la conosce?" e la sua risposta affermativa un pò fa sorridere il cuore della ragazza .
Il signore ritornando sulla difensiva racconta di non voler andare alla visita, che non gli serve più a nulla, che è "vecchio", che poi diventa buio e non si fida a guidare...

E...se è vero che quello spiraglio non andava lasciato scappare l'Assistente Sociale, dopo aver ascoltato tutte le remore riprende:"ma senta davvero non se la sente di farsi accompagnare a questa visita da lei?" indicando la collega OSS, "io sarei più tranquilla, lei non dovrebbe guidare con il dolore alle gambe, avrebbe compagnia nel viaggio e qualcuno che può aiutarla se il dottore le parla un pò difficile!".

Sarà stata Milano, sarà stata la vicinanza fisica, sarà stato il buon senso del signore o sarà stata la Madunina, ma ha accettato di farsi accompagnare.

Si è alzato dalla sedia sorridendo, salutando...rimettendosi il cappello».

Un tassello di una giornata.
Un cappello che va tolto per rispetto.
La prossemica che la dice lunga.
Milan l'è on gran Milan.
Una giovane donna ed un uomo anziano.
Tre colleghi di un Servizio Sociale.

La quotidianità ed il senso.

lunedì 31 agosto 2015

Quant'è bella giovinezza che si fugge tuttavia (L. de' Medici)

Il caro buon vecchio Bob Dylan così diceva: «Essere giovani vuol dire tenere aperto l’oblò della speranza, anche quando il mare è cattivo e il cielo si è stancato di essere azzurro» ed io, sebbene per alcuni non sono più giovane, bè l'oblò lo tengo ben aperto.

Sono consapevole, però, che tenerlo aperto - nonostante tutto - ha un prezzo. Un prezzo che non tutti conoscono. Che non tutti hanno la (s)fortuna di poter "sperimentare".

Ho attraversato il mare cattivo ed ho "tenuto botta", ho guardato il cielo "nero" ma, il sole poi è tornato e ho pagato caro...è vero. 

Sono sulla soglia dei 30 anni con davvero tanta voglia di fare, di conoscere, di esserci ed essere, ma spesso mi confronto con ragazzi che hanno 7, 6 anni in meno di me e hanno il "terrore" negli occhi.
Non mi limito a ragazzi che studiano Servizio Sociale, parlo di "giovani" che non hanno grandi speranze, non per loro mancanza di capacità (o almeno non tutti).

Siamo in un mondo (in una parte di mondo) che non è pronta ad accogliere giovani, che non sta lottando per garantire loro un futuro, che non prende decisioni difficili, ma sagge, che non si sta rendendo conto di quanto "male" si sta diffondendo.

Lauree appese al chiodo: "Sì, ci siamo conosciute durante il mio tirocinio in casa di riposo durante la laurea in infermieristica", mi dice mentre il rumore - fastidioso - della cassa di un qualsiasi supermercato scandisce la sua velocità. 
Nulla può togliere dignità al lavoro di cassiera, anzi ammiro chi è in grado di sopportare quel ritmo, il caos, le lamentele e non voglio immaginare che altro...ma, a questo punto, perchè studiare 3 o 5 o più anni per poi vedere il proprio sacrificio appeso al muro? (Non dimentico la cultura che per me ha un valore immenso, sia chiaro!)

Lauree appese al chiodo: "E per star nel giro, bè, anche animatore al Centro Estivo va bene". Sicuramente sì, il lavoro da sempre e sempre nobiliterà l'uomo, ma "lo stare nel giro" non ha lo stesso valore del "mi hanno cercata per quello che sono e quello che valgo!!"

Lauree che abilitano, lauree che formano futuri professionisti e che vengono "svendute" con varie forme di "tirocinio formativo", "stage" o non si bene che altro viene proposto al giorno d'oggi per cavalcare l'onda della disperazione.

Giovani (e meno giovani) che hanno desideri, sogni, passione e competenze e che si affannano. Talvolta restano in attesa e si aggrappano a qualcosa che non c'è, ma che viene creato per l'occasione. 

Credo che, arrivati al punto in cui siamo, sia doveroso a partire dall'alto a scendere fino ad arrivare ai singoli cittadini prendere delle decisioni serie e di metodo

Concludo con questa frase: «La più grande tragedia avrà inizio quando i giovani non vorranno più cambiare il mondo»
(Vasile Ghica)


martedì 28 luglio 2015

Una riflessione di "senso" di mezza estate

Ondate!

Le famose ondate che tornano e scompaiono nei tg, a volte, le vivo nella vita quotidiana.
Da mesi, oramai, sento sempre la solita "filastrocca": siamo senza risorse, siamo in difficoltà e quando la coperta è corta...

Tutte affermazioni vere e basta guardarsi attorno per rendersene conto (non voglio scadere sui bollini neri in autostrada etc.etc.etc..), però, come sempre, c'è un "però".

Nei servizi argomentiamo questa realtà?
E come?
Come interagiamo con l'utenza quando le soluzioni pratiche, quelle da cilindro, non sono più "a portata di mano"?
Ci adoperiamo per diffondere la cultura del Servizio Sociale?

Siamo una categoria mal vista e, a mio avviso, scarsamente conosciuta, con un alone oramai incrostato che i mass media ci hanno regalato, ma quello che spesso mi chiedo è:
"Cosa posso fare per smussare questa situazione...nel mio piccolo?"
Un post di facebook non basta, così come non risolve i problemi questo post, ma i miei sforzi quotidiani sì.

Spiegare il nostro ruolo, ma non con termini accademici e da Esame di Stato, parole semplici, ma chiare e precise;

Condividere come lo Stato funziona e come analizzare le notizie che si sentono e leggono che, spesso, fomentano odio e frustrazione;

Spendere 10 minuti in più per dettagliare il procedimento di una pratica ed il funzionamento del proprio ente;

Dare un senso all'importanza degli strumenti e delle tecniche del Servizio Sociale Professionale ed utilizzarle per offrire un sostegno ed ascolto a chi ha bisogno e si rivolge a noi.

Avvicinarsi all'utenza con la correttezza di un professionista, l'umiltà di un essere umano senza dimenticare l'obiettivo ed i principi della professione:

La professione è al servizio delle persone, delle famiglie, dei gruppi, delle comunità e delle diverse aggregazioni sociali per contribuire al loro sviluppo; ne valorizza l´autonomia, la soggettività, la capacità di assunzione di responsabilità; li sostiene nel processo di cambiamento, nell´uso delle risorse proprie e della società nel prevenire ed affrontare situazioni di bisogno o di disagio e nel promuovere ogni iniziativa atta a ridurre i rischi di emarginazione. (Art 6 Codice Deontologico)



domenica 5 luglio 2015

Una storia da... raccontare

Tempo fa avevo promesso che avrei scritto questa storia di vita e finalmente posso farlo.

In ufficio suona il telefono è la Dottoressa del paese che mi chiama per dirmi di aver detto ad una coppia di suoi pazienti di presentarsi a ricevimento pubblico.
Puntuali, timidi e timorosi entrano nella sala consigliare del Comune, li accolgo con il sorriso e li invito a sedersi.
Lui si toglie il cappello ringraziandomi ed aiuta la moglie a sedersi.
Si accomodano ed io mi presento mentre li osservo.
Lui è un anziano di 90 anni (anche se ne dimostra almeno 10 in meno) che nella vita, oramai, si occupa della moglie che ha a fianco. Lei è magrolina, pallida con i capelli a caschetto bianchi e lucidi.
E' lui a presentare entrambi perchè lei non parla, o parla poco.

Non voglio arrivare subito al punto, devo prima capire che sono a loro agio e lo capisco dal momento che lui poggia la schiena contro la sedia.
Dopo qualche minuto di conversazione leggera chiedo qual è il motivo che li ha portati da me.
La loro richiesta non è subito chiara, lui rialza la schiena ed apre una cartelletta in pelle usurata ed estrae diversi fogli di visite mediche.

"Non è che ci capisco molto, guardi lei".

- Decadimento cognitivo, malattia di Alzheimer, diabete .... -

Quei fogli parlano di lei.
Chiedo, ad entrambi, se sono da soli, dove vivono, come si spostano, come sono le loro giornate.

Hanno un figlio di 40 anni che ha perso lavoro, ma che non si occupa molto di loro: "sa non gliel'abbiamo mai chiesto..."

Chiedo ancora cosa pensano di aver bisogno.
Lui sorride, lei mi osserva e lui mi dice:"non è che c'è da firmare eh!!"
"Nulla da firmare, cerco di capire come possiamo aiutarvi e così facendo presento anche i miei colleghi ed il servizio".

Lui è interessato e curioso, termino il colloquio fissando una visita domiciliare.
Lui ritira tutti i fogli nella sua cartelletta e mentre la chiude mi chiede scusa.

Scusa!?!

"Perchè mi chiede scusa, io la trovo così bella, mi sono sempre piaciute le cose in pelle!"
"Perchè è vecchia, questa borsa ha 50 anni, me la sono fatta da solo! Lavoravo la pelle, io facevo le selle per i cavalli e quando me lo chiedevano facevo anche le borse. Una per me". Anche mia moglie è un'artigiana, ha perso quasi tutta la vista cucendo, ma cosa si poteva fare ai nostri tempi??"

Adoro questi racconti, adoro la delicatezza di quelle mani e quegli sguardi.
Un'educazione di tempi andati e che, chissà, se qualcosa ci hanno lasciato.

Concludo la storia con la visita a casa loro.
Ci accolgono in un giorno di primavera, soleggiato e con cielo terso.

"Abbiamo messo il nostro vestito migliore solo per lei! Quello che ha indosso mia moglie lo ha cucito lei anni fa, quando ancora ci vedeva!"

Ditemi quanto valore ha tutto questo?

Chiara

domenica 28 giugno 2015

La chiarezza è la chiave di tutto

Scriverò, forse, una banalità che - però - merita di essere scritta.

Ho sempre sostenuto che il "nostro" (non scrivo intendendo il plurale maiestatis, ma pensando alla comunità professionale di appartenenza) lavoro sia il più bello del mondo, ma alcuni giorni mi hanno messa davanti alla domanda fatidica....e se così non fosse?
Dovevo darmi una risposta, oscillare fra una sicurezza portata avanti anche in sedi diverse dal blog e l'incertezza non era una bella sensazione. 

Scrivo al passato perchè una risposta me la sono data, l'ho trovata!
Non l'ho cercata è venuta da sè, ha disteso i muscoli ed alleggerito il cervello.

La risposta è la chiarezza.
La trasparenza, interiore ed esteriore.

In diverse situazioni mi sono sentita dire: "ho temuto nel leggere la sua convoca, temevo mi portasse via la bambina", o ancora: "bè lei lo sa cosa si pensa dei Servizi Sociali" ed ancora: "mi vergognavo a venire qui!".

Posso ammettere con tranquillità che non è nè bello nè piacevole iniziare una relazione con questi presupposti. Talvolta è anche peggio quando le persone hanno perso la fiducia nei Servizi Sociali e negli operatori, lì il "gioco" si fa più duro,
Ed è qui che entrano in scena la "trasparenza" e la "chiarezza".

Non siamo meri erogatori di interventi, non siamo dei "bancomat" dove dopo un paio di click escono ricevute e soldi, no! Siamo operatori, immersi nelle nostre organizzazioni con un mandato professionale,un mandato istituzionale, siamo professionisti ed infine siamo persone che si interfacciano ed entrano in relazione con altre persone. Talvolta neanche in maniera spontanea o pensata, ma a seguito di una decisione dell'Autorità Giudiziaria.

Questo è fondamentale capire, più questo ragionamento lo facciamo nostro più saremo in grado di poter costruire una cultura "positiva" dei Servizi, basata sulla conoscenza e - si spera - sulla fiducia. 

Durante un colloquio non diamo tutto per scontato e per conosciuto, spieghiamo il motivo di quell'azione, cosa sta alla base di una nostra decisione professionale, spieghiamo come si sviluppano le pratiche, cosa significa un contributo ed ancora cosa vuol dire essere e fare l'Assistente Sociale. 
Diamo importanza ai progetti e prestiamo molta attenzione alle parole sia a quelle che pronunciamo sia a quelle che ci vengono dette.

Tutto questo richiederà, certamente, uno sforzo maggiore, del tempo in più durante i colloqui e/o i ricevimenti pubblici, ma quello che avremo costruito in termini di relazione e di serietà professionale agevolerà ogni nostra azione futura.

Senza pretese, ma un pensiero in libertà osservando le giornate che si sono susseguite nell'ultimo periodo, trovando conferma ancora una volta che... il nostro lavoro è il più bello del mondo!

Chiara

martedì 19 maggio 2015

"Ricostruire dal deserto" - Paolo Giordano

Questa mattina presso il Centro Incontri della Regione Piemonte a Torino si è svolta una giornata di approfondimento sulla DGR n. 15-7432 del 15 aprile 2014 “Approvazione di indicazioni operative per i servizi inerenti i luoghi per il diritto-dovere di visita e di relazione (cosiddetti di luogo neutro).

Dopo i saluti delle Autorità ha preso la parola Paolo Giordano, lo scrittore del famoso romanzo "La Solitudine dei Numeri Primi".

Ho trovato originale l'idea di coinvolgere uno scrittore del calibro di Giordano per aprire una giornata densa come quella appena trascorsa. 
L'originalità non è tutto, però. 
Giordano è stato molto bravo perchè è riuscito ad introdurre un argomento così specifico e delicato con un suo scritto dal titolo "Ricostruire dal deserto", testo  non tecnico, ma sicuramente interessante, 
Non ho trascritto l'intera lettura, ma alcuni passaggi fondamentali che mi hanno particolarmente colpita.

"Maggiore è l'affetto che ci lega, maggiore è la paura di rivedersi. E' una paura incontrollata".

E' necessario "allenare al ritrovarsi"

"Intendo i luoghi neutri nel senso più poetico del termine, come sinonimo di equilibrato"

"Li immagino come piccoli deserti racchiusi fra le mura, non una zona morta, ma in attesa di vita, un luogo potenziale di vita che può rigenerarsi"

"Non avere un'immagine triste di luogo neutro. Gli operatori sono sorveglianti neutrali fra genitori complicati e figli"

Conclude con una citazione di Jung "il sale dell'amarezza trasformato nel sale della saggezza"  riferendosi al perdono ed all'esperienza dello stesso.

Ho apprezzato davvero la metafora del deserto, ho apprezzato le sue parole ed il racconto personale che ci ha regalato. 

Una parola su tutte ha predominato "ri-connessione" e credo sia la parola che meglio può "disegnare" quanto è stato detto questa mattina. Non voglio aggiungere altro perchè tutto quello che oggi è stato detto, per quanto  mi riguarda, deve sedimentare e prendere una forma.

Chiara

Dimenticavo..."sicuramente questa non sarà una giornata da scotomizzare"

lunedì 18 maggio 2015

...il valore delle piccole "cose"

Ci sono giorni dove mi guardo dentro, mi guardo attorno e...

Oggi è uno di questi giorni.

...e mi chiedo se sto facendo i passi giusti;
...e mi chiedo quanto tempo ho perso;
...e mi chiedo quanto tempo mi resta;
...e mi chiedo quanto tempo invece avrei dovuto dedicare;
...e mi chiedo cosa mi resta;
...e mi chiedo se essere quella che sono vale qualcosa;
...e mi chiedo se quel sogno, prima o poi, si farà afferrare... e ancora tanti se.

L'orologio, puntuale, segna ora dopo ora.
Il tempo corre ed io cerco di stargli dietro, ma non sono certa di avere l'allenamento giusto.

Lo specchio, sincero, mi ricorda che qualche ora di sonno in più mi farebbe bene.
Quella ruga di troppo, l'occhiaia più colorata del previsto.

Sto faticando, perchè negarlo?
Talvolta sto sveglia fino alle 2 di notte per capire come scrivere una cosa, oppure come preparare un colloquio, o cercare di affrontare al meglio una situazione.

Non si finisce mai di imparare ed ogni giorno è una scoperta, una prova, una delusione o...una soddisfazione.

E' a loro che voglio dedicare questo post... non era l'idea originaria (erano le frustrazioni), ma mentre sto scrivendo ho pensato a quei piccoli tasselli che, magari non tutti i giorni, compongono il mio percorso professionale.

Devo dare ragione a chi dice che sono le piccole cose ad avere un gran valore, eccole davanti a me.
Devo imparare a riconoscerle meglio, ci sono...non hanno un cartello luminoso attaccato, ma aspettano di essere trovate.

Esistono e di loro mi devo nutrire.

Chiara

venerdì 1 maggio 2015

1 maggio - Festa dei Lavoratori

Paolo Petrucci. Presidente Cooperativa Animazione Valdocco

Oggi, come ogni anno, in Italia ed in alcuni paesi del mondo si festeggia il "1 maggio".

Ieri sera i telegiornali hanno voluto celebrare questa festa con alcuni dati disarmanti quando allarmanti: la disoccupazione tocca la soglia del 13% (dati Istat). La disoccupazione giovanile è oltre il 43%.

Trovo questi dati spaventosi.
Leggo gli articoli inerenti a questa notizia e rimango attonita.
Rifletto e penso che è la festa dei lavoratori.

Questa festa richiama le battaglie operaie e delle conquiste ottenute.

Negli anni passati si lottava per avere condizioni di lavoro più umane, veder riconosciuti i diritti dei lavoratori, ai giorni nostri si lotta per avere uno "stralcio" di lavoro o per tenersi quello che si ha con le unghie e con i denti.
Sempre di lotta si tratta. Di resistenza.

Mi confronto con amici, con conoscenti e con studenti e spesso quel velo di tristezza e speranza oramai venuta meno prende il sopravvento.

Incertezza verso il futuro.
Avremo mai una famiglia?
E la pensione?
E...se sto a casa un giorno, che succede?
La paga è troppo bassa, non è corretto?
Lavoro anche in nero, la bolletta la devo pagare.
Faccio tre lavori che, però, non ne fanno uno.

Sono discorsi tristi e, forse, troppo pesanti per un giorno di "festa", ma è bene ricordare anche questo lato della medaglia.

"L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro" recita la nostra Costituzione, credo che tanti ancora credono a quelle, penso che sia necessario supportare queste persone.
Dal Governo fino al piccolo imprenditore.
Dallo Stato al datore di lavoro.
E' necessario guardarsi attorno e ri-scoprire il valore di coloro che hanno voglia di lavorare pur di sentirsi "uomini" o "donne".
E' doveroso nei confronti del nostro Paese creare le condizioni per poter uscire da una situazione così dura e risorgere.

Lo dobbiamo ai nostri figli, lo dobbiamo a noi che siamo il presente e lo dobbiamo a chi, nel passato, ha lottato.

Io oggi "festeggio" da lavoratrice, ma credo sia necessario "festeggiare" tutti i giorni una tale ricorrenza, perchè il lavoro nobilita l'uomo... ci credevano Darwin e Marx e ci credo anche io!

Chiara


domenica 19 aprile 2015

19/04/2015 - Almeno 700 morti in mare "E' una delle tragedie più grandi"



Inizio questo breve articolo con le parole di Miura con "Casa mia", perchè non trovo con facilità le parole, ma quelle poche che riesco a scrivere è importante, per me, far sì che restino.
Mi alzo questa mattina e vengo a sapere della strage nel Canale di Sicilia. L'ennesima.
Circa 700 persone hanno perso la vita.
28 i superstiti, secondo il "Messaggero.it"

Non sono riuscita a dir altro che "Oddio mio!", sconvolta.

Secondo l'UNHCR  e Amnesty International questi sono i "dati": "Dal 1988 al 2014, 21.344 persone sono annegate nel Mediterraneo mentre cercavano di raggiungere l'Europa. Nel 2011 il numero dei morti è stato di circa 1500, nel 2012 di circa 500, nel 2013 di oltre 600. Dal I° gennaio al 15 settembre 2014, sono annegati oltre 2500 esseri umani, più di 2200 dei quali solo tra giugno e settembre. Quasi il 2% delle persone che hanno intrapreso un viaggio nel Mediterraneo nel 2014 è annegato. È noto il tragico numero dei migranti morti nel Mediterraneo nel 2014, perché è stato l'anno più nero per la spaventosa scomparsa di bambini, donne e uomini in quelle acque, come tutti i migranti, morti per non morire di guerra o di fame  o di violazione dei diritti politici e umani".

L'ho già scritto non ho molte parole, se non ricordare a me stessa che quei numeri sono vite umane e che restare indifferenti non è più possibile. 


"Non si può fare ricorso a misure deterrenti per fermare una persona che è in fuga per salvarsi la vita, senza che questo comporti un ulteriore incremento dei pericoli in cui incorre", dichiara Antonio Guterres, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Rifugiati. "Vanno affrontate le reali ragioni che stanno alla base di questi flussi, e ciò significa guardare al motivo per cui le persone fuggono, ciò che impedisce loro di cercare asilo con mezzi più sicuri, e che cosa si può fare per reprimere le reti criminali che prosperano in questo modo, proteggendo al tempo stesso le loro vittime. Significa anche avere sistemi adeguati per far fronte agli arrivi e per distinguere i veri rifugiati da coloro che non lo sono". 



Chiara

mercoledì 25 marzo 2015

A fine giornata devo riflettere e mi racconto

Oggi è stata una giornata "strana", intensa e ancora non sono riuscita a chiederla fuori dalle mie quattro mura verdi.

Mi vien da sorridere oggi, 25 marzo, è il giorno in cui, 4 anni fa, mi laureavo!
Avevo un sogno e, finalmente, lo stavo abbracciando.

Oggi, per puro caso, mi sono ricordata che "uh, maaaa è il 25 marzo" ed ho sorriso ad ampia dentatura.
Poi...la giornata ha preso una piega particolare.

Scadenze.
Telefonate.
Rifiuti.
Confronti.
Imprevisti.
Fare tardi.
Pensare.
Riflettere.
Telefonare ancora.
Prendere appuntamenti.
Tenere duro!

Era quello che volevo!

E lo è ancora. Lo è sempre più.

Volli, sempre volli, fortissimamente volli.

Alzo lo sguardo e ho un'intera mensola dedicata ai libri di Servizio Sociale, sopra c'è la mia pergamena incorniciata.
Se mi volto ci sono i libri dell'Università, di lettura personale per approfondire e libri del master.
Sono avvolta, piacevolmente, dal mio sogno.

A volte, però, cala quel velo di nebbia che mi mette davanti allo specchio.
Che mi porta a fare un esame di coscienza.

Talvolta pecco.
Altri giorni lavoro meglio.
In alcuni casi sono molto sicura.
In altri cerco un porto sicuro e, fortunatamente, lo trovo.

4 anni fa mi veniva riconosciuto il titolo di "Dottoressa in Servizio Sociale", oggi sono Assistente Sociale e, nonostante, le fatiche, i momenti di sconforto, di sfogo e di incertezza...nessuno e neanche io ho il diritto di intaccare il mio sogno, la mia professione e quello che sono.

E' stata una giornata dura, dove - davanti a quello specchio - ho ammesso debolezze e fatiche.
Punti di forza sui quali fare leva.
Concludo in musica... dove trovo conforto!



Chiara

venerdì 20 marzo 2015

Marzo 2014 - Marzo 2015 : Bilancio di anno

E' passato un anno.
Da quando?

Da marzo 2014 quanto tutto è cambiato.
Il 2014 è stato un anno di svolte, di decisioni prese sacrificando il sonno per essere certa di quello che volevo, di sacrifici, di stanchezza mentale e fisica, di grandi soddisfazioni e nuove amicizie.
Unico comune denominatore? Il mio trolley rosso.

Un trolley pieno di speranza, di sogni, di obiettivi, di traguardi, di lacrime e di sorrisi. Di biscotti e di regali. Di libri e tanti vestiti.


Dopo un anno è logoro. Su e giù dai treni. 
Trascinato sui marciapiedi.
Caduto diverse volte per gli strattoni dei mezzi.
Una volta...calpestato!


Da marzo 2014 sono cambiate tante cose, ed io, sono cresciuta.
Non perchè ho un anno in più all'anagrafe, ma perchè ogni esperienza qualcosa ti lascia, in positivo o in negativo.

Sono stata eletta Consigliere dell'Ordine degli Assistenti Sociali Regione Piemonte. Sì, proprio io. Mi sono guardata allo specchio, non potendo guardare in viso tutti i colleghi, e ho detto: Grazie!
Un mondo nuovo, responsabilità nuove, meccanismi da apprendere e progetti da realizzare. 
Sfide da affrontare e la professione ed i colleghi da rappresentare, tutelare e promuovere.


Sono stata ammessa al "Master in competenze interculturali. Formazione per l'integrazione sociale". Lo desideravo, mi affascina l'intercultura e ci credo fermamente. 
Un gruppo, il nostro, caciarone e pronto a festeggiare ogni occasione.
Non perfetto, non esiste un gruppo perfetto, ma un buon gruppo che mi porto nel cuore.


Ho cambiato lavoro. Desideravo anche questo e mi ricordo perfettamente le parole che dissi a colei che mi ha fatto il colloquio. Non le riporto, ma il mio era un bisogno, un'esigenza quella di cambiare lavoro ed essere un'Assistente Sociale, fare l'Assistente Sociale a tutti gli effetti. Non solo quando all'organizzazione fa comodo. Le sono grata ogni giorno.


Sono stata un'assidua frequentatrice di treni regionali veloci, di Freccia Rossa ed Italo che, nonostante tutto, anche questi ultimi hanno avuto ritardi. Ho vissuto un anno "in ritardo", correndo su e giù, trascinando il mio trolley rosso, ma quando mi sedevo...
Osservavo volti, talvolta sonnecchiavo o leggevo. 
Mi perdevo nei paesaggi ascoltando musica.
Scambiavo quattro chiacchiere col vicino.
I viaggi in treno sono l'esperienza più sociale che ci sia.


Ultimo, ma non meno importante. Ho affrontato la mia paura (folle) di parlare in pubblico
Come? Facendolo! Con i consigli di chi mi sta accanto da tanti anni.

Prima Torino, poi Biella, poi in Campidoglio, poi Novara, poi Milano.
Grazie a questo ho scoperto quanto è bello ed importante interagire con chi ti ascolta. Guardare negli occhi ed essere convinti di quello che si sta dicendo. Non per "vendere" il proprio pensiero, ma perchè questo crei dibattito e conoscenza reciproca.

Il mio trolley rosso, ora, merita una lavaggio, ma non un lungo riposo.
Io non merito null'altro, sicuramente devo ringraziare tutti i giorni, dimostrare sempre ed essere coerente con ciò che sono e dico di essere...

Chiara

domenica 8 marzo 2015

8 marzo - Festa internazionale della donna

8 marzo 2015!
Sappiamo tutti, uomini e donne, a cosa si riferisce questa data, trovo necessario, però, scriverne il senso, le radici storiche, perchè più che festeggiare è necessario riflettere.
Grazie a questa ricorrenza si celebrano i diritti e le conquiste sociali che le donne sono riuscite ad ottenere nel corso del tempo.
La prima "festa della donna" venne organizzata nel febbraio del 1909 su iniziativa del Partito Socialista Americano per manifestare in favore al diritto di voto femminile; in quel periodo solo i partiti socialisti, riuniti per il congresso internazionale, lottavano per il diritto di voto delle donne.
L'anno successivo, 1910, venne accolta la medesima iniziativa, durante il congresso delle donne socialiste a Copenghen.
Nel 1921 viene scelto l'8 marzo come unica data, ricordando la manifestazione delle donne contro lo zarismo nel 1917.
Nonostante fosse stata scelta una data, fino 1977 i paesi del mondo hanno celebrato questa ricorrenza in giorni diversi, fino a quando l'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel dicembre di quell'anno, con la risoluzione 32/142, ha proposto ad ogni paese di dichiarare un giorno all'anno la "Giornata delle Nazioni Unite per i diritti delle Donne e per la pace internazionale".
Da quel momento in poi, ogni Paese, ha l'occasione di ricordare non solo le battaglie che dalle donne sono state vinte, ma anche quelle ancora da vincere.
Voglio spendere ancora due parole sul simbolo di questa giornata: la mimosa. 
In Italia, in occasione della fine della guerra, nel 1946, si festeggia la "festa della donna" e questa data che viene scelta su idea di tre donne italiane Teresa Noce, Rita Montagnana e di Teresa Mattei (partigiane, femministe e rispettivamente la prima eletta nell'Assemblea Costituente, la seconda eletta in Assemblea Costituente e successivamente Senatrice e la terza la donna più giovane eletta in Assemblea Costituente con funzione di Segretario dell'Ufficio di Presidenza).

Come ogni ricorrenza per me sono importanti il senso ed il significato, più che la sfrenata ricerca al mazzetto di mimosa o del regalo più bello.
Non è il consumismo a dimostrare quanto la società tutta rispetta le donne, ma sono le azioni, i modi di agire, le immagini utilizzate dai giornali, l'applicazioni delle leggi e così come tanti altri piccoli gesti quotidiani.
L'8 marzo, dunque, deve essere un monito, un'occasione per riflettere perchè le battaglie che le donne, anzi che la società in favore delle donne deve compiere sono tante, proprio perchè non devono essere più battaglie, ma diritti. Non devono essere lotte, ma rispetto che viene dato a prescindere.

Il pensiero mio di oggi va a tutte quelle donne che sono state uccise, ferite, violentate, umiliate, vittime di tratta. Alle donne che disperate cercano aiuto e quella richiesta viene sottovalutata, alle mamme sole che devono farsi in 4 (ed ancora non basta) per tenere salda ed unita la famiglia. 
Alle donne che, come oramai sappiamo, subiscono torture per scappare da un paese che non sentono più come "casa" ed ancora a quelle donne che subiscono l'infibulazione o l'escissione del clitoride.
Il mio pensiero, però, va anche agli uomini
Uomini che ancora non hanno compreso il significato del rispetto, della parità e dell'uguaglianza.
Uomini che si credono in diritto di sottomettere, offendere e di far del male perchè l'altra persona è donna.

Ogni anno lo diciamo, lo leggiamo sugli articoli di giornale o sui social network: l'8 marzo non è un singolo giorno su 365, è tutto l'anno. E' tempo di rendere concrete queste parole.


Chiara






giovedì 26 febbraio 2015

Accogliere il dolore

Sul dolore ho già scritto, sia qui sul blog che ne "I miei respiri".

Trovo che sia un argomento delicato, di non facile esplorazione nè spiegazione.
Le forme del dolore sono diverse vanno da quello fisico, a quello più intimo e psicologico. A quello che riusciamo a manifestare e rendere, quasi, tangibile a gli altri, a quello che teniamo dentro, stretto e al buio, per i motivi più diversi.

Ci sono, poi, le reazioni che abbiamo di fronte al dolore.
Pianto. Silenzio. Stupore. Sudorazione. Crampi allo stomaco. Rabbia. Impotenza.
Non sempre da sole, a volte insieme.

Siamo fatti e viviamo di emozioni, l'ho scritto più volte, dobbiamo viverle, capirle ed elaborarle per correttezza nei nostri confronti e di chi si è rivolto a noi per cercare aiuto o sostegno.
Sono anche certa che il contesto, le esperienze passate ed il carattere possano aiutare a gestire sia il dolore (proprio ed altrui) sia quello che ci provoca.

Non c'è un manuale, le istruzioni non le hanno incluse nella confezione. Per fortuna!
Abbiamo noi stessi, le nostre capacità e la nostra umanità.

.... 
entrano nell'ufficio.
Madre e figlia.
Osserva la donna più anziana è provata, è stanca, ha un colorito che tende al pallido, spalle grandi ma ricurve, la fatica le si leggeva in volto e le parole, trascinate, hanno reso ancor più chiaro un quadro già limpido.
Poso lo sguardo sulla donna più giovane, madre a sua volte di due bambine. Ha un viso più disteso, ma il labbro tradisce (l'apparente) tranquillità. 
Il marito, il padre (il nonno) è malato. Gravemente malato, soffre e le patologie che ha non sono curabili.
Negli anni le sue condizioni sono degenerate, ma la famiglia non ha perso un colpo e sempre si sono occupate dell'uomo. Ha smesso di parlare, di camminare, ed infine, di essere autosufficiente.
Non lo hanno lasciato "è mio marito. Siamo venuti al Nord per stare meglio e lavorare e guardi che cosa ci è successo?"
Voce roca, lacrime trattenute e sospiri da levar il fiato da quanto erano carichi di sofferenza.
"Non posso lasciarlo, io so cosa vuole mangiare, che gesti può fare e cosa significano. Sono la moglie, ma sono stanca, signorina, sono stanca, Non ce la faccio più, i muscoli non mi reggono più. Non lo voglio lasciare".

Il pianto. Suo e della figlia, silente.
....
Io mi sono sentita come se mi avessero fatta salire su una giostra che ha preso velocità troppo in fretta.
Ho deglutito e cercato di capire, cercato di accogliere il dolore, sebbene neanche con le migliori intenzioni potevo capire appieno.
Dovevo scendere da quella giostra ed esserci.

Uscendo mi hanno ringraziata.
Non so neanche il motivo di quel "grazie, grazie eh signorina, grazie".
Non piangevano più, solo qualche singhiozzo.

Ed io?
Nonostante questo sia accaduto qualche mese fa ancora ci penso.
Devo pensarci per restare.
Per esserci.
Per capire.

lunedì 26 gennaio 2015

Giornata della Memoria 2015 - Riflessioni

Ogni anno dedico un post a questa giornata, cercando di dare un taglio diverso.
Un anno ho raccontato un episodio della mia famiglia, un anno ho dato dei dati, quest'anno voglio fare un affondo sul senso di questa giornata. Pare inutile, ma guardando il mondo che ci circonda è più che necessario.

27 gennaio 1945, settanta anni fa e l'esercito russo entrava nel campo di concentramento di Auschwitz svelando l'orrore.
Il primo "carico umano" arrivò nel 1940, la soluzione finale ebbe inizio: crudeltà, razzismo, follia e sadismo.
Chi mi conosce sa che ho un'attenzione particolare per questo argomento e che sono diversi i libri che ho letto e i documentari che ho guardato per comprendere quello che, nonostante tutto, ancora non sono riuscita a capire.
Ed è qui che nasce il mio affondo, dalla domanda delle domande.

Perchè?

Il perchè di quello che è avvenuto in passato, in qualche modo, hanno cercato di spiegarlo i libri di storia e questo non è compito mio, non adesso.
Ora, quello che mi preme capire è perchè la storia non ci ha insegnato nulla.

Dedichiamo giornate contro il razzismo, a favore dei diritti umani, siamo a favore della libertà di espressione, ma ancora si sentono espressioni del tipo: "negro di merda", "immigrato che ruba il lavoro", "essere gay non è concepibile", "i rom occupano le case...ladri!".
Leggiamo fatti di cronaca di ragazzi picchiati, persone con disabilità discriminate, morti in nome di un' ideologia.

E qui che mi chiedo...cosa è cambiato? Cosa c'è di diverso? Perchè ancora tutto questo orrore?
Forse non deportiamo le persone e non le riduciamo ad un nulla, ma mi chiedo perchè i tempi non sono ancora maturi per far un passo in avanti verso la maturità.

Conoscere la complessità e le diversità del mondo ed apprezzarle, non averne paura.
Conoscere e confrontarsi, senza ragionare per pregiudizi che non portano ad uno sviluppo.

Primo Levi si chiedeva, ci chiedeva:
"Considerate se questo è uomo che lavora nel fango, 
che non conosce pace, che lotta per mezzo pane.. [...] 
considerate se questa è una donna senza capelli e senza nome senza più forza di ricordare... [...]
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli... [...]"

Questo è il senso di questo post: ricordare quello che è stato, quanto dolore ha provocato e quanti danni ha creato e capire come fare per invertire il senso di marcia, anche solo nel nostro piccolo.

Lascio questo post con due link:

Una recensione di un film che consiglio a tutti di vedere: The Imitation Game

Una canzone dei Vallanzaska: "Lettera" - Vallanzaska

Un consiglio al cinema: La NexoDigital, in occasione della Giornata della Memoria, ho prodotto: " Himmler - L'uomo per bene". E' possibile vedere il film solo il 27 ed il 28 gennaio in alcuni cinema, qui l'elenco completo.

Chiara

domenica 25 gennaio 2015

Una riflessione dopo la puntata di "Presa Diretta"

Ho twittato e lasciato messaggi su Facebook questa sera, ma è necessaria una riflessione anche qui.

Noi Assistenti Sociali siamo stati nuovamente accusati, tacciati di pressapochismo, di valutare la povertà come un motivo valido per smembrare una famiglia e di trarne anche profitto.
Non voglio cadere nella polemica, ma una volta terminato il servizio sulla Danimarca e sui tagli ai fondi delle politiche sociali in Italia, devo assolutamente scrivere qualcosa.

Noi Assistenti Sociali siamo un "nodo istituzionale", siamo in prima linea e sappiamo quanta fatica faccia la cittadinanza ad andare avanti, entriamo in case spoglie, abbiamo a che fare con persone che non sanno più dove sbattere la testa, ma vanno avanti, rinunciano a tutto tranne che alla dignità.
Essendo lì, a diretto contatto con loro, spesso riceviamo insulti, veniamo aggrediti, il telefono che "trema" per gli urli che dall'altra parte cercano di arrivare dritti al nostro "punto debole".

Non incassiamo, ma cerchiamo di spiegare, di ragionare insieme e costruire un orizzonte condiviso.

E' questo, forse, che non basta!
Siamo la voce di chi ha fatica ad "urlare", siamo persone che sanno quali sono i diritti esigibili delle persone, siamo formate, studiamo e continuamente ci teniamo aggiornati per non scadere nel senso comune e nell'approssimazione, allora ecco che non dobbiamo accettare le condizioni che "Presa Diretta" ha elencato e messo in evidenza.

Dobbiamo lavorare in scienza e coscienza, sapere che in gioco non ci sono bruscolini, ma vite umane. Detestiamo il paragone coi medici, ma io lo trovo calzante. Il chirurgo taglia e causa un'emorragia, l'Assistente Sociale, che lavora in condizioni complesse e deve far i conti con risorse risicate, deve sapere che le sue parole, il bisturi del chirurgo, hanno un peso e sono strumenti potenti.

L'Assistente Sociale che ha scelto questo lavoro deve avere la forza e le capacità di agire ed interfacciarsi con i decisori politici, argomentando e spiegando il suo lavoro.

Il cittadino deve avere il diritto di avere fiducia nell'Assistente Sociale e non temerla.
Una signora, ad ottobre 2014 (lo ricorderò per un bel pò di tempo) si è seduta di fronte a me, era la prima volta che mi vedeva, mi guarda e mi dice: «Se ti racconto come stiamo tu mi porti via la bambina?», mi si è stretto il cuore, ma ho allargato il sorriso e scosso la testa.
Avremo così tanto lavoro da fare...se così fosse.

Sappiamo bene che il periodo storico non è dei migliori e sappiamo che noi abbiamo il dovere di incidere sul benessere sociale delle persone e delle comunità.

Ci insegnano ad essere creativi in tempi di crisi, credo che sia necessario affinare l'arte della conoscenza e non della creatività, conoscere quelli che sono i nostri diritti e come esercitarli sia la strada per veder migliorare il nostro paese.

Non sono una fan accanita di Fedez, ma in una canzone canta così:
«L'italiano fa casino durante il minuto di silenzio,
ma poi sta in silenzio per anni quando dovrebbe far casino.
L 'italiano per protestare in piazza aspetta che ci sia il sole,
il bollettino meteo guiderà la rivoluzione»

Cogliamo la provocazione e ragioniamoci su.

Ho una motivazione in più per amare il mio lavoro e far sempre meglio quello che ho scelto di fare nella vita!

Chiara