giovedì 26 febbraio 2015

Accogliere il dolore

Sul dolore ho già scritto, sia qui sul blog che ne "I miei respiri".

Trovo che sia un argomento delicato, di non facile esplorazione nè spiegazione.
Le forme del dolore sono diverse vanno da quello fisico, a quello più intimo e psicologico. A quello che riusciamo a manifestare e rendere, quasi, tangibile a gli altri, a quello che teniamo dentro, stretto e al buio, per i motivi più diversi.

Ci sono, poi, le reazioni che abbiamo di fronte al dolore.
Pianto. Silenzio. Stupore. Sudorazione. Crampi allo stomaco. Rabbia. Impotenza.
Non sempre da sole, a volte insieme.

Siamo fatti e viviamo di emozioni, l'ho scritto più volte, dobbiamo viverle, capirle ed elaborarle per correttezza nei nostri confronti e di chi si è rivolto a noi per cercare aiuto o sostegno.
Sono anche certa che il contesto, le esperienze passate ed il carattere possano aiutare a gestire sia il dolore (proprio ed altrui) sia quello che ci provoca.

Non c'è un manuale, le istruzioni non le hanno incluse nella confezione. Per fortuna!
Abbiamo noi stessi, le nostre capacità e la nostra umanità.

.... 
entrano nell'ufficio.
Madre e figlia.
Osserva la donna più anziana è provata, è stanca, ha un colorito che tende al pallido, spalle grandi ma ricurve, la fatica le si leggeva in volto e le parole, trascinate, hanno reso ancor più chiaro un quadro già limpido.
Poso lo sguardo sulla donna più giovane, madre a sua volte di due bambine. Ha un viso più disteso, ma il labbro tradisce (l'apparente) tranquillità. 
Il marito, il padre (il nonno) è malato. Gravemente malato, soffre e le patologie che ha non sono curabili.
Negli anni le sue condizioni sono degenerate, ma la famiglia non ha perso un colpo e sempre si sono occupate dell'uomo. Ha smesso di parlare, di camminare, ed infine, di essere autosufficiente.
Non lo hanno lasciato "è mio marito. Siamo venuti al Nord per stare meglio e lavorare e guardi che cosa ci è successo?"
Voce roca, lacrime trattenute e sospiri da levar il fiato da quanto erano carichi di sofferenza.
"Non posso lasciarlo, io so cosa vuole mangiare, che gesti può fare e cosa significano. Sono la moglie, ma sono stanca, signorina, sono stanca, Non ce la faccio più, i muscoli non mi reggono più. Non lo voglio lasciare".

Il pianto. Suo e della figlia, silente.
....
Io mi sono sentita come se mi avessero fatta salire su una giostra che ha preso velocità troppo in fretta.
Ho deglutito e cercato di capire, cercato di accogliere il dolore, sebbene neanche con le migliori intenzioni potevo capire appieno.
Dovevo scendere da quella giostra ed esserci.

Uscendo mi hanno ringraziata.
Non so neanche il motivo di quel "grazie, grazie eh signorina, grazie".
Non piangevano più, solo qualche singhiozzo.

Ed io?
Nonostante questo sia accaduto qualche mese fa ancora ci penso.
Devo pensarci per restare.
Per esserci.
Per capire.