martedì 31 dicembre 2019

"Shomèr, ma mi-llailah?"

Non faccio bilanci, non faccio l'elenco dei buoni propositi, non voglio pensare all'anno che sta per finire e non voglio immaginare l'anno che verrà, voglio solo fare un post veloce per chiudere il 2019.

Così...

Bevo a chi è di turno, in treno, in ospedale,
cucina, albergo, radio, fonderia,
in mare, su un aereo, in autostrada,
a chi scavalca questa notte senza un saluto,
bevo alla luna prossima, alla ragazza incinta,
a chi fa una promessa, a chi l’ha mantenuta
a chi ha pagato il conto, a chi lo sta pagando,
a chi non è stato invitato in nessun posto,
allo straniero che impara l’italiano,
a chi studia musica, a chi sa ballare il tango,
a chi si è alzato per cedere il posto,
a chi non si può alzare, a chi arrossisce,
a chi legge Dickens, a chi piange al cinema,
a chi protegge i boschi, a chi spegne un incendio,
a chi ha perduto tutto e ricomincia,
all'astemio che fa uno sforzo di condivisione,
a chi è nessuno per la persona amata,
a chi subisce scherzi e per reazione un giorno sarà un eroe,
a chi scorda l’offesa, a chi sorride in fotografia,
a chi va a piedi, a chi sa andare scalzo,
a chi restituisce da quello che ha avuto,
a chi non capisce le barzellette,
all'ultimo insulto che sia l’ultimo,
ai pareggi, alle ics della schedina,
a chi fa un passo avanti e così disfa la riga,
a chi vuol farlo e poi non ce la fa,
infine bevo a chi ha diritto a un brindisi stasera
e tra questi non ha trovato il suo.


(Erri De Luca, da L'Ospite incallito, Einaudi, 2008)

Chiara



domenica 25 agosto 2019

"Una mamma rimane mamma per sempre"

E' una frase che una mia collega ha detto venerdì durante una visita domiciliare, aggiungendo "e un figlio rimane figlio per sempre".

Ora immaginate questa scena:


"Un signore di 60 anni, affetto da una malattia gravemente invalidante, costretto a letto se non è il giorno «buono», oppure se qualcuno non lo siede sulla carrozzina e lo accompagna sotto il pergolato, al sole, all'aria aperta.... fuori.
Venerdì ho voluto ritagliarmi del tempo e accompagnare la mia collega durante il suo intervento, perché questo signore ha una storia di vita che merita di essere raccontata, ha una mente così lucida e così fine che, quando riesco, scambio quattro chiacchiere con lui davvero con piacere. 


E' un rapporto umano, non è esclusivamente un rapporto professionale!
Dentro un grande salone spoglio, la luce soffusa di una piccola abat jour, tantissime carte sparse qui e là, polvere e quel divano oramai consumato, suo giaciglio quando sono i «giorni no». 
Seduto sulla carrozzina, pronti ad uscire, da una piccola stanza attigua fa capolino sua mamma, 94 anni, con una coperta «sei abbastanza coperto?» , «fuori fa freschino!».
Noi usciamo, iniziamo a parlare del più e del meno, lasciamo che il tempo ci conduca. 
Non «un come stai?» - che domanda lo vediamo da sole come sta, non «di che parliamo?» - che domanda cadremmo in argomenti tristi; no!!
E' il tempo che ci ha preso la mano e ci ha condotto. 


L'età, la giovinezza, l'approccio alla vita che fa la differenza.
Ed io venerdì ero stanca, tanto stanca. Occhi gonfi, labbro gonfio a causa di un morso e antistaminico in corpo, la schiena un pò curva...ero, secondo me, spenta. Mi son dovuta ricredere!

«E' l'approccio alle cose che hai che non fa passare quel messaggio!»

E pian piano anche il pallore sul suo viso scema, l'aria fa bene, la compagnia fa bene e un sano scambio di battute fa bene, un gran bene.
Esce, dopo una ventina di minuti, sua mamma, con quella copertina ancora in mano. A passo lento, piccola, con quelle rughe che la rendono affascinante e che camuffano bene l'età che ha! 10 anni di meno «è la vita di campagna, è il mangiare sano», mi dice.

Appoggia la copertina sulle spalle del figlio con una tale delicatezza, con amore tangibile che per qualche attimo il tempo si è fermato, mi ha permesso di assaporare quel sentimento così reale e sincero che son grata a me stessa per essere uscita dall'ufficio sebbene non fosse in programma.
«Quando non ci sarò più chi lo farà? Ci vuole una brava, una attenta!» voce di mamma preoccupata, voce di mamma premurosa".

Una mamma rimane mamma per sempre!
A 94 anni con un figlio di 60 
Un figlio rimane figlio per sempre!

Ed è un insegnamento, ed è stata una domanda che mi fecero anni fa all'Esame di Stato, la ricordo come se fosse ieri: "Lei durante un colloquio  con una coppia spostata, conflittuale con un figlio, quale rischio corre?"
Lascio a voi ragionare sulla risposta, io...bè le ho dette tutte tranne che ero «figlia» e lo sarò per sempre!

Chiara




mercoledì 31 luglio 2019

"Per fare tutto ci vuole un fiore"


Quella canzone che fa:

Per fare il legno ci vuole l'albero


E mi fa pensare, ripensare e ripensare ancora. Non perché io sia una fioraia (fiorista) nascosta, ma perché, se ci pens..iamo bene, è vero! 
E' la nostra storia, è la storia della vita, è così che funziona: per far qualsiasi cosa (immaginiamo altro rispetto ad un tavolo di legno), serve qualcosa di altro e di altro ancora

Questo non deve essere né scontato né banale, ma lo è! Lo vedo e lo sento, tutti i giorni.

Il mio lavoro - del quale vado fiera nonostante mi sia stato detto "Assistente Sociale, ma non ti vergogni?", "No, non mi vergogno, tutt'altro..."-, mi offre la grande possibilità di pensare, riflettere, guardare, osservare, ma soprattutto agire, una volta che tutto quel pensare prende una forma con dei contorni più marcati. 
Quindi se per fare un tavolo un tavolo ci vuole il legno, ci vuole l'albero, il seme, il fiore.. per fare un buon lavoro? Per lavorare bene, sopratutto in campo come quello di cui tanto si discute in questo periodo (per chi non lo sapesse la tutela minori), cosa ci vuole? Cosa serve?

Riflettiamo:
Tavolo = Professionisti del settore, formati, competenti e passionali;
Legno = Formazione di base e continua, solida e concreta, che fornisce strumenti operativi e metodologie di lavoro;

Seme = il Contesto organizzativo di riferimento;
Fiore = Politica, a tutti livelli, da quello più lontano (statale) a quello più vicino a noi (comunale); la politica fatta per amministrare la "cosa pubblica", non la "cosa mia, per i miei interessi";

Ramo = la Comunità locale, accogliente e consapevole;
Albero =  Famiglia che ha appigli, che ha riferimenti, che ha avuto tutto l'elenco che ho scritto sopra, che ha principi, che ha le radici in terra per non cadere alla prima folata di vento e foglie verdi che rispendono al sole nelle giornate più calde;
Bosco = Giustizia, un'autorità giudiziaria cosciente delle risorse e delle progettualità messe in campo dal sistema dei servizi. Non una mannaia sul collo, ma una garanzia di rispetto dei diritti e delle responsabilità di ciascuno;
Monte = la Cultura della nostra società tutta. Una cultura del "penso prima di parlare", "rifletto prima di accusare", "conosco prima di giudicare", "mi informo prima di esercitare un diritto" e "conosco i miei diritti prima di farmeli calpestare"
E infine la...
Terra = Tutti noi, dal primo all'ultimo che possiamo curare, piantare, annaffiare, proteggere il fiore, perché per fare tutto ci vuole il fiore.

Fiore = i fiori sono i bambini, sono gli adulti di domani, sono i protagonisti del nostro agire, nostro inteso come Sistema, no come del singolo operatore, ma del sistema società, all'interno della quale vi sono la politica, i servizi sociali, l'autorità giudiziaria e la comunità locale.

I "fiori" sono la spinta che in questi anni mi ha permesso di migliorare, capire, conoscere, informarmi, confrontarmi e lottare. Perché sono una passionaria e non scrivo in Procura Minori perché ho tempo di farlo, scrivo quando, dopo mesi e mesi di progetti, valutazioni, sostegni, riflessioni in équipe, colloqui saltati, v.d. concluse con le dita nella portiera della macchina e di "tu non capisci niente", "vedrai il mio avvocato", "conosco le vostre macchine", non c'è altra via.

E qui mi fermo, mi fermo perché ho la testa colma di pensieri altri, ma felice e orgogliosa del lavoro che faccio che non si limita a prendere una busta paga il 27 del mese.

Per fare tutto...ci vuole un fioooore!

Chiara


lunedì 6 maggio 2019

"Dovunque tu vada sarai sempre in salita e controvento" A.B.


E' lunedì! Ora, onestamente parlando (...scrivendo), il lunedì è una giornata che parte in salita. 
La mia è stata, per intenderci, la salita al Colle S. Carlo, in anticipo sulla quattordicesima tappa del prossimo Giro d'Italia.


...

I telefoni squillano, sms sui cellulari di servizio. Sguardi che si incrociano.
La notizia è triste, davvero triste. Io avevo appena riassorbito un colpo di qualche mese fa e niente, anche questo è parte del mio e del nostro lavoro.


Calma. Sangue freddo. 
Poco tempo per ragionare, ri-organizzare la giornata e tirare un fiato.


Viviamo di emozioni e nasconderle non avrebbe senso, saperle riconoscere, gestire e comunicare, invece, lo ha!
Siamo umani ed essere vicini al dolore altrui, a mio avviso, rende il nostro lavoro più "sociale" e meno distante da quella che è la realtà che tutti i giorni viviamo.


Tubi, macchinari che emettono suoni strani, il classico odore di ospedale.
Il gelo, la profonda tristezza e la sensazione di essere in un cubo dal quale uscire è quasi impossibile.

Non riesco ad avvicinarmi più di quanto abbia fatto, non voglio neanche, ho solo bisogno di sapere che quella signora che più volte mi ha stretto la mano e dato baci per augurarmi "buone feste...tu che puoi" abbia quello che deve avere.  La sua dignità.



Esco da quel cubo e mi gira la testa, ma il lavoro deve andare avanti e ogni scusa è buona per mostrare fermezza, anche una telefonata, per quanto impegnativa, tiene su la schiena e fa muovere le gambe.

Entro in quel reparto e vedo quel "ragazzo" immobile e attonito fuori dalla camera della donna più importante della sua vita, non mi avvicino, io stessa non vorrei nessuno intorno, ma quell'espressione per qualche giorno mi accompagnerà. La testa china di lato e le braccia ossute lungo i fianchi; arreso.


Sono fortunata ad avere un Codice Deontologico alle spalle che mi guida, che mi accompagna nei diversi passi che devo compiere, sebbene la situazione oggi era così complessa che la cosa che avrei voluto fare era urlare e spegnere il mondo, come se stessi vedendo un brutto film alla tv. 

...


Prendo in prestito le parole dei Negrita perché, ancora una volta, la musica mi aiuta a descrivere queste intense giornate e non solo le mie!


"Quando inizi a capire
Che sei solo e in mutande
Quando inizi a capire
Che tutto è più grande
C'è chi era incapace a sognare
E chi sognava già!" 




lunedì 11 febbraio 2019

Un senso


...dopo giornate come questa deve esserci "un senso".
Un senso al nostro essere, un senso al nostro "andare".

Un senso.

A volte è così faticoso trovarlo, o anche solo ricordarsi che deve esserci.

Un senso.

Tutto il dolore di oggi, gli occhi incrociati bagnate da lacrime di rabbia, quel silenzio così disarmante e così colmo di una sola parola "aiuto".

Un uomo, un padre e un marito.
Tre ragazzi, figli, così giovani...

Una stanza, parole difficili e la lotta fra quel senso di vergogna nel lasciarsi andare e lo stomaco che vorrebbe urlare. Il tempo, il rumore delle macchine che contano i battiti deboli, un senso di impotenza devastante, aggrapparsi a una speranza che non ha più colori.

Un senso.

Quel bisogno di non sentirsi soli, quel bisogno di sapere che qualcuno sa cosa deve essere fatto, quel bisogno di guardare un viso - sconosciuto - e prendere una decisione.

Un senso.

Essere consapevoli di quello che si è e di quello che nella vita si vuole fare anche se la pancia trema, anche se il cervello è saturo, anche se...

Un senso.

Nelle parole, nei gesti, nell'umanità data e ricevuta, nel "grazie", nel consegnare il dolore nelle mani di una persona e sperare di non vederlo gettare a terra.
Concludo con le parole di Cristicchi, io per oggi, non ne ho più

"Attraversa il tuo dolore arrivaci fino in fondo
Anche se sarà pesante
Come sollevare il mondo
E ti accorgerai che il tunnel è soltanto un ponte
E ti basta solo un passo per andare oltre"