domenica 8 gennaio 2012

Morire per ...o morire di lavoro?

Ho letto l'articolo di un amico e collega in merito all'aggressione di un'assistente sociale da parte di un utente con un macete. La vittima si è salvata per pura fortuna che si può misurare in centimetri.

Le aggressioni non sono una componente solo del lavoro dell'assistente sociale ma, di tanti altri lavori e questo è quello che mi sono sentita di rispondere. Parole al vento?
Verranno mai ascoltate? Avremo mai un mondo in cui, ogni professione, di cura, di aiuto...qualsiasi abbia un riconoscimento che vada oltre i classici e fuorvianti stereotipi?
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Poche settimane fa, su facebook, ho postato un articolo risalente a 10 anni fa dove venivano elencate le colleghe che hanno perso la vita (ma guadagnato una medaglia) mentre svolgevano il loro lavoro, l'assistente sociale.
Che se ne fa la famiglia di quella medaglia? Non è un riconoscimento, il riconoscimento lo avrebbero avuto, e lo avremmo tutti, se da oggi e negli anni a venire potessimo fare il nostro lavoro, senza pregiudizi, senza ignoranza e senza pericoli. 
Con questo non voglio vedere assistenti sociali con la scorta stile vip, sarebbe ridicolo, ma vedere una professione legittimata e non declassata, vedere l'"esercito" di assistenti sociali poter fare il suo lavoro con i mezzi e gli strumenti necessari, potendo anche dialogare con l'utenza - tutta - senza il terrore di dover dire "no, non possiamo per..." i più svariati motivi, che spesso, per quanto il professionista sia bravo, quel "no" viene preso sul personale e non è possibile gestire nel migliore dei modi.
Il periodo che stiamo vivendo e che vivremo è costellato di episodi di violenza, non devono aumentare, deve solo sparire, lasciando il posto ad una società che sotto tutti gli aspetti deve considerarsi civile.

Diritti esigibili, risorse, servizi, giustizia sociale, uguaglianza, riconoscimento, dignità.

Chiara

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