Era il 20 novembre 1989 e veniva approvata la Convenzione Internazionale sui diritti dell'infanzia.
Io quel giorno avevo 3 anni, quasi 4 mancava poco ed ero una bambina ed ero felice.
Oggi ho 32 anni, quasi 33 e voglio ancora essere felice, facendo quello che tutti i giorni faccio, ovvero il mio lavoro: Assistente Sociale. Ho deciso (e in parte le circostanze mi hanno aiutata) di dedicarmi principalmente ad un'area, quella dei "minori" e con una parola d'ordine quotidiana "responsabilità".
Il motivo?
Perché incontro famiglie, perché mani piccine intrecciano le mie con spontanea fiducia, perché posso confrontarmi con Neuropsichiatri e Psicologi, perché posso pensare a progetti con al centro i bambini e fare con loro e le loro famiglie un percorso. Perché ho la possibilità di relazionarmi con l'Autorità Giudiziaria e pensare davvero a quella che è la "tutela minori" e riflettere su quello che definiamo "interesse superiore del bambino", perché lavoro con Educatori che sono perfettamente consapevoli che il lavoro non si esaurisce al "ciao, come stai" e "cosa vuoi fare oggi?", anche con Avvocati che non hanno solo in testa "la parcella" e anche con Insegnanti che hanno il "sacro fuoco negli occhi" come direbbe una mia collega.
Perché so di avere una responsabilità e questa responsabilità mi spinge ad essere vigile, ad essere presente, attenta, a farmi una domanda in più e se, dopo tanto lavorare, vediamo un sorriso sul viso di un bambino, su quello di una mamma e di una "famiglia di appoggio" (ndr. P.I.P.P.I.), in fondo, abbiamo vinto.
Lavoro in squadra, mi confronto e chiedo aiuto perché i diritti dei bambini non sono così scontati, non sono "isolati", ma sono fortemente collegati a quelli degli adulti, i loro genitori. A quelli della comunità e del contesto all'interno del quale vivono.
E...a volte lavoro da sola, quando devo prendere una decisione, quella finale, quella che porterà verso quella o quell'altra direzione, ma con la consapevolezza di non aver fatto le "cose alla leggera".
Ho in mente quel mezzogiorno di un giorno di primavera quando un papà mi dice: "te la mando lì, qui è successo un casino" e come il mio corpo ha reagito e come la mia testa ha reagito.
Quando i miei occhi hanno visto "il casino" ho dovuto chiedere ad una collega un aiuto per sfogare la rabbia di quel momento, per poi prendere il coraggio, la pazienza, la forza e la responsabilità di fare quello che andava fatto.
Ho in mente quel pomeriggio assolato d'estate ed un cono gelato al gelato al pistacchio quasi del tutto sciolto in mano e le nostre paure e la nostra consapevolezza, quel sorriso sdentato e "andiamo?" e la responsabilità di andare.
Ho in mente quella maestra che mi dice: "Chiara è il mio lavoro" e vederla sempre lì, pronta ed accogliente, condividendo la responsabilità.
Ho in mente quella mamma che mi dice "prima era qui" - indicandosi la pancia - "e adesso?" con un inglese maccheronico e prendermi la responsabilità di valutare.
Penso a tutti i visi dei bambini e ragazzi che attraversano la nostra e la mia vita professionale, penso alle loro storie e penso che c'è ancora tanto, tanto da fare. Sia concretamente sia culturalmente.
Un passo alla volta.
Giorno dopo giorno.
Chiara
Nessun commento:
Posta un commento