E di fronte a queste parole, che dire d'altro?
"No, perchè sai, quando hai fame e mangi, poi sei soddisfatto" mi dice in un italiano sdentato, toccandosi la pancia che poc'anzi ha potuto riempire.
"Ohhh ma lo credo!" e gli sorrido, sperando che prosegua nel suo discorso, interessante senz'altro.
"Perchè se non mangi, non stai bene, se mangi poi è tutto a posto!" ed ora è lui a sorridere.
"Ma ti credo U., ti credo, lo so bene! Hai visto che, anche io, appena arrivata, ho mangiato...quindi posso capire ciò che dici! Persino Maslow ti darebbe ragione!" mi lascio andare e lui non capisce e non voglio neanche che capisca, è un momento tutto mio con quel ragazzo dalla pelle che mi ricorda il cioccolato al latte.
La discussione scema quando anche altri decidono che, nel corridoio che separa il refettorio dall'entrata, possono intrattenersi con noi. E certamente possono.
Pare un momento di pura normalità, e normale lo è.
Al dormitorio pubblico, ma tutto è normale. Sembriamo persone che si sono incontrate, per caso, in mezzo alla strada, ed amabilmente conversano. Certo la lingua a volte è la nostra difficoltà, ma fra una risata per una parola italiana troppo difficile ed un incoraggiamento: «Say in english!"» una bella mezz'ora l'abbiamo trascorsa normalmente, dimenticando - forse - le difficoltà della vita.
La fame, che se messa a tacere "ti rende felice";
Il freddo, che se placato "evita che io abbia la voce nasale";
La casa, che non è tua, che non è mia, è di tutti. "A volte non sto bene qui";
La compagnia, è variegata ed eterogenea e, forzata. "Chiara guardati attorno, quando ci sei tu noi sorridiamo!";
La famiglia, lontana, "Hai visto mia figlia? Ho la fotografia qui!";
Il lavoro, che non c'è "ma spero arrivi qualcosa";
Ed ora che ho mangiato sono felice!
Chiara
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