E di fronte a queste parole, che dire d'altro?
"No, perchè sai, quando hai fame e mangi, poi sei soddisfatto" mi dice in un italiano sdentato, toccandosi la pancia che poc'anzi ha potuto riempire.
"Ohhh ma lo credo!" e gli sorrido, sperando che prosegua nel suo discorso, interessante senz'altro.
"Perchè se non mangi, non stai bene, se mangi poi è tutto a posto!" ed ora è lui a sorridere.
"Ma ti credo U., ti credo, lo so bene! Hai visto che, anche io, appena arrivata, ho mangiato...quindi posso capire ciò che dici! Persino Maslow ti darebbe ragione!" mi lascio andare e lui non capisce e non voglio neanche che capisca, è un momento tutto mio con quel ragazzo dalla pelle che mi ricorda il cioccolato al latte.
La discussione scema quando anche altri decidono che, nel corridoio che separa il refettorio dall'entrata, possono intrattenersi con noi. E certamente possono.
Pare un momento di pura normalità, e normale lo è.
Al dormitorio pubblico, ma tutto è normale. Sembriamo persone che si sono incontrate, per caso, in mezzo alla strada, ed amabilmente conversano. Certo la lingua a volte è la nostra difficoltà, ma fra una risata per una parola italiana troppo difficile ed un incoraggiamento: «Say in english!"» una bella mezz'ora l'abbiamo trascorsa normalmente, dimenticando - forse - le difficoltà della vita.
La fame, che se messa a tacere "ti rende felice";
Il freddo, che se placato "evita che io abbia la voce nasale";
La casa, che non è tua, che non è mia, è di tutti. "A volte non sto bene qui";
La compagnia, è variegata ed eterogenea e, forzata. "Chiara guardati attorno, quando ci sei tu noi sorridiamo!";
La famiglia, lontana, "Hai visto mia figlia? Ho la fotografia qui!";
Il lavoro, che non c'è "ma spero arrivi qualcosa";
Ed ora che ho mangiato sono felice!
Chiara
Benarrivati sul mio blog. Questo spazio è dedicato alla mia versione del lavoro e del servizio sociale.
Credo che pensare socialmente sia un buon modo per accorgersi del mondo che ci circonda.
mercoledì 28 novembre 2012
domenica 25 novembre 2012
"L'amore è un'altra cosa", giornata contro la violenza sulle donne.
E' Arisa a cantare "L'amore è un'altra cosa" e mi perdonerà se, per l'incipit di questo articolo, le rubo le parole.
Sì, l'amore è un'altra cosa, non è violenza, non è omicidio, non è ricatto, non è dolore, non sono prese in giro. L'amore è un sentimento puro e piacevole che non deve essere confuso con le minacce o con le violenze, in tutte le forme possibili.
Il dato: 115 (donne) vittime dal gennaio 2012
Queste donne avevano un nome, avevano un lavoro, avevano una famiglia, avevano dei figli, avevano dei parenti, avevano una dignità ed avevano, soprattutto, la vita. Il diritto di vivere.
Per i più disparati motivi hanno perso quel diritto ed hanno guadagnato il ricordo dei famigliari, che lottano per avere giustizia.
Dopo tutto quello che sta accadendo nel mondo in questo periodo, trovo difficile dire "stop alla violenza" (violenza sulle donne, nei confronti dei bambini e di qualsiasi essere umano ed animale), lo trovo difficile perchè lo ritengo sempre più utopistico, ma non per questo smetterò di invocare l'uso della parola anziché delle "armi" per risolvere qualsiasi tipo di conflitto.
Credo, però, che accanto allo slogan "stop alla violenza" debbano esserci tutti gli strumenti che le vittime di soprusi e violenza devono utilizzare qualora si trovino nelle condizioni, appunto, di vittime.
- Il coraggio e la forza di uscire dalla situazione di violenza
- Denunciare alle Forze dell' Ordine che hanno l'obbligo di ascoltare ed accogliere le denunce di tutti coloro che sentono il bisogno di segnalare una violenza;
- I Servizi Sociali che sono predisposti al fine di accogliere, ascoltare, indirizzare e sostenere chi si trova in una condizione di difficoltà (vanno segnalati i consultori famigliari, le case per le donne ed i centri anti violenza)
- Il medico di base il quale può offrire le cure necessarie e soprattutto essere il tramite per contattare il Servizio Sociale e far parte della rete
- Se si è in possesso, l'Avvocato di famiglia che può offrire una consulenza alla vittima, specificare se il comportamento perpetrato è reato, oppure legale, ed anche in questo caso, collaborare con i Servizi Sociali.
- La Rete Nazionale Antiviolenza ed il numero telefonico 1522 attivo 24 ore su 24 multilingue, in grado anche di fornire una consulenza specialistica.
- La rete famigliare ed amicale per non sentirsi sole ed affrontare con un sostegno in più, una situazione delicata e difficile
Non mancano i servizi, non mancano le modalità attraverso le quali le vittime possano agire per potersi difendere e soprattutto porre fine a quella situazione.
115 è un numero molto alto, che auspico, con l'anno nuovo diminuisca. Non si possono colpire fisicamente e psicologicamente le donne in quanto donne.
Stop alla violenza di genere, sì al confronto ed alle differenze. Un motivo per il quale non siamo tutti uguali ci sarà, oppure no?
In conclusione lascio il documento redatto dall'Ordine degli Assistenti Sociali per la giornata contro la violenza sulle donne, storie di vita.
In conclusione lascio il documento redatto dall'Ordine degli Assistenti Sociali per la giornata contro la violenza sulle donne, storie di vita.
Chiara
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domenica 11 novembre 2012
Una delle (tante) difficoltà della vita
Fare diverse esperienze permette di poter venire a contatto con realtà e situazioni, che, nella maggior parte dei casi, sono molto lontane da noi.
Questa io la chiamo "condivisione", lo chiamo "confronto" e "scambio". Sicuramente un arricchimento.
In questi giorni mi sono trovata a riflettere su quanto possa essere difficile e complicato non conoscere la lingua del paese nel quale si soggiorna, ed ancor peggio, non avere neanche la possibilità di esprimersi in seguito ad una malattia che è andata a ledere l'area del cervello adibita al linguaggio.
Ovvio è che oltre alla riflessione ed all'immaginazione non posso andare, poichè io vivo in Italia e conosco la mia lingua e soprattutto non ho alcun impedimento, sia nello scritto che nella lingua parlata.
Sono questi i casi in cui credo non si possa parlare di empatia, penso sia solo possibile avere tanta pazienza ed accogliere nella maniera più dolce ed educata possibile chi non è in grado di avere una relazione verbale con noi.
Mi sono posta diverse domande:
- come può stare questa persona che, con gli occhi, mi trasmette tutto quello che può ed io, con gli occhi e la mia lingua, tento di spiegargli che non riesco in nessun modo a comprenderlo?
- il mio approccio è quello corretto?
- cosa è possibile fare per questa persona, quando anche la presenza di un mediatore è risultata fallimentare?
- quando anche i simboli non vengono in aiuto, perchè i "codici" utilizzati sono diversi e non è possibile nè conferma nè smentita, cosa si può fare?
- cosa passa per la testa di questa persona che è immersa nel nostro mondo ma, ne è uno spettatore non pagante?
- quando cerca di essere parte attiva di una conversazione, ed è evidente che sta imitando i nostri gesti e la nostra mimica, come si sente? Ed io, che lo rendo partecipe, faccio bene?
Come sempre ho tante domande che derivano dalle mie esperienze professionali e non ho mai risposte. Cerco il confronto con chi ne abbia voglia.
Mi pongo domande perchè chi lavora con e per le persone non può non interrogarsi, cerco il confronto perchè credo sia una strategia utile e produttiva.
Chiara
Questa io la chiamo "condivisione", lo chiamo "confronto" e "scambio". Sicuramente un arricchimento.
In questi giorni mi sono trovata a riflettere su quanto possa essere difficile e complicato non conoscere la lingua del paese nel quale si soggiorna, ed ancor peggio, non avere neanche la possibilità di esprimersi in seguito ad una malattia che è andata a ledere l'area del cervello adibita al linguaggio.
Ovvio è che oltre alla riflessione ed all'immaginazione non posso andare, poichè io vivo in Italia e conosco la mia lingua e soprattutto non ho alcun impedimento, sia nello scritto che nella lingua parlata.
Sono questi i casi in cui credo non si possa parlare di empatia, penso sia solo possibile avere tanta pazienza ed accogliere nella maniera più dolce ed educata possibile chi non è in grado di avere una relazione verbale con noi.
Mi sono posta diverse domande:
- come può stare questa persona che, con gli occhi, mi trasmette tutto quello che può ed io, con gli occhi e la mia lingua, tento di spiegargli che non riesco in nessun modo a comprenderlo?
- il mio approccio è quello corretto?
- cosa è possibile fare per questa persona, quando anche la presenza di un mediatore è risultata fallimentare?
- quando anche i simboli non vengono in aiuto, perchè i "codici" utilizzati sono diversi e non è possibile nè conferma nè smentita, cosa si può fare?
- cosa passa per la testa di questa persona che è immersa nel nostro mondo ma, ne è uno spettatore non pagante?
- quando cerca di essere parte attiva di una conversazione, ed è evidente che sta imitando i nostri gesti e la nostra mimica, come si sente? Ed io, che lo rendo partecipe, faccio bene?
Come sempre ho tante domande che derivano dalle mie esperienze professionali e non ho mai risposte. Cerco il confronto con chi ne abbia voglia.
Mi pongo domande perchè chi lavora con e per le persone non può non interrogarsi, cerco il confronto perchè credo sia una strategia utile e produttiva.
Chiara
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sabato 3 novembre 2012
Interrogandosi...in sosta al semaforo, lungo un marciapiede
Quest'oggi in macchina sono passata in Corso Allamano, strada che collega Torino con Grugliasco.
Canticchiavo, che fare se non chiacchierare o parlottare?
Canticchiavo, fino a che al semaforo ho smesso di cantare per voltarmi verso il marciapiede destro. Mi aveva attirato un qualcosa di verde, con la coda dell'occhio non riuscivo a vedere bene.
Voltandomi ho capito cosa fosse: la borsetta di una ragazza.
In piedi, lungo questo marciapiede, vestita in maniera non poco appariscente.
Poco più in là un'altra ragazza che, in piedi, faceva le parole crociate - distrattamente -.
Ingenuamente ho chiesto "ma cosa ci fanno lì?", ovvio che sapevo il motivo per il quale sostavano lungo quel marciapiede, ma non riuscendo a darmi pace, non ho potuto far altro che chiedermi perchè fossero lì e non altrove, come tante ragazze (compresa me) a godersi un pomeriggio in tranquillità.
Non faceva freddo ma, quella sedia bianca da giardino, accanto ad una di loro, mi ha fatto pensare che la sua permanenza non fosse di un paio di ore. E la conferma è arrivata da lì a poco, quando mi è stato spiegato che, da anni, quella zona è il ritrovo usuale di ragazze che fin dal mattino presto, sono in attesa di...Di?
Io...non riesco a darmi una risposta.
Non riesco a spiegarmi cosa le spinga.
Non riesco a capire dove trovino la forza.
Non riesco a concepire che ragazze e donne debbano offrirsi (o vendersi).
"Dovrebbero andare via da lì", ho esclamato, quasi sentissi la necessità di portarle via da quel marciapiede. Certo, non devo escludere che ci sia chi lo fa come scelta di vita, e che quindi non avrebbe senso che arrivasse qualcuno a "salvarle", ma temo che quelle ragazze, così come altre che si incontrano sulla via che collega Rondissone a Chivasso, non siano lì ferme, con qualsiasi condizione meteorologica, a qualsiasi ora del giorno e della notte, per loro scelta.
Non giudico una condizione, non giudico una ragazza...mi interrogo sul "come" e sul "perchè".
Mi chiedo cosa si possa fare per evitare questo fenomeno?
Mi chiedo se sia cosa giusta cercare di evitare che tutto questo accada?
Mi chiedo, mi interrogo, mi pongo domande...e non trovo risposte.
L'unica mi speranza, quando è scattato il verde e la prima e poi la seconda mi hanno allontanata da quello scenario, è che tutte queste donne non debbano soffrire, sotto ogni punto di vista.
Chiara
Canticchiavo, che fare se non chiacchierare o parlottare?
Canticchiavo, fino a che al semaforo ho smesso di cantare per voltarmi verso il marciapiede destro. Mi aveva attirato un qualcosa di verde, con la coda dell'occhio non riuscivo a vedere bene.
Voltandomi ho capito cosa fosse: la borsetta di una ragazza.
In piedi, lungo questo marciapiede, vestita in maniera non poco appariscente.
Poco più in là un'altra ragazza che, in piedi, faceva le parole crociate - distrattamente -.
Ingenuamente ho chiesto "ma cosa ci fanno lì?", ovvio che sapevo il motivo per il quale sostavano lungo quel marciapiede, ma non riuscendo a darmi pace, non ho potuto far altro che chiedermi perchè fossero lì e non altrove, come tante ragazze (compresa me) a godersi un pomeriggio in tranquillità.
Non faceva freddo ma, quella sedia bianca da giardino, accanto ad una di loro, mi ha fatto pensare che la sua permanenza non fosse di un paio di ore. E la conferma è arrivata da lì a poco, quando mi è stato spiegato che, da anni, quella zona è il ritrovo usuale di ragazze che fin dal mattino presto, sono in attesa di...Di?
Io...non riesco a darmi una risposta.
Non riesco a spiegarmi cosa le spinga.
Non riesco a capire dove trovino la forza.
Non riesco a concepire che ragazze e donne debbano offrirsi (o vendersi).
"Dovrebbero andare via da lì", ho esclamato, quasi sentissi la necessità di portarle via da quel marciapiede. Certo, non devo escludere che ci sia chi lo fa come scelta di vita, e che quindi non avrebbe senso che arrivasse qualcuno a "salvarle", ma temo che quelle ragazze, così come altre che si incontrano sulla via che collega Rondissone a Chivasso, non siano lì ferme, con qualsiasi condizione meteorologica, a qualsiasi ora del giorno e della notte, per loro scelta.
Non giudico una condizione, non giudico una ragazza...mi interrogo sul "come" e sul "perchè".
Mi chiedo cosa si possa fare per evitare questo fenomeno?
Mi chiedo se sia cosa giusta cercare di evitare che tutto questo accada?
Mi chiedo, mi interrogo, mi pongo domande...e non trovo risposte.
L'unica mi speranza, quando è scattato il verde e la prima e poi la seconda mi hanno allontanata da quello scenario, è che tutte queste donne non debbano soffrire, sotto ogni punto di vista.
Chiara
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giovedì 1 novembre 2012
Presentazione del XXII dossier immigrazione Caritas / Migrantes
Anche quest’anno è stato presentato il dossier nazionale sull’immigrazione redatto da Caritas e Migrantes.
Il messaggio che il dossier statistico ha voluto divulgare è “Non solo numeri” in quanto dietro a questi ultimi, ossia i numeri, che come vedremo successivamente, sono in aumento, vi sono vicende personali, storie di vita e la dignità umana.
E’ oramai assodato che la migrazione sia un fenomeno sfaccettato e come sia impossibile conoscerlo appieno, poiché è in costante cambiamento (come ad esempio i paesi di provenienza ed arrivo, le modalità), ma questo non deve impedire di ricordare quanto sia importante conoscere chi emigra, le motivazioni e per questo motivo, non considerare l’immigrazione un avvenimento, esclusivamente, oggettivo.
Per questi motivi non è più possibile parlare di immigrazione come un’ “emergenza”, come un fatto sporadico, anzi le previsioni ed i dati confermano quanto sia un fenomeno destinato a proseguire, importante dunque non generalizzare qualora si voglia parlare di “migrazioni” e soprattutto non avere un atteggiamento mentale pre – giudizievole (ad esempio il 60% degli italiani non sposerebbe uno straniero). Al fine di evitare questo sarebbe auspicabile una grande forza sociale che promuova una realtà in grado di accogliere e di produrre cambiamenti, anche a livello legislativo.
Per poter comprendere meglio il fenomeno è bene dare uno sguardo ai dati che il 22° rapporto della Caritas Migrantes ha fornito:
• 214 milioni i migranti nel mondo
• 33 milioni in Europa (nel 2010)
• 5 milioni in Italia (nel 2011)
• Dal 1999, i migranti, sono aumentati di 10 volte
• 7, 4 miliardi di rimesse (somme di denaro inviate nei paesi di origine) nonostante la crisi mondiale
• 34117 richieste di asilo presentate in Italia
• 7155 richieste di asilo accolte in Italia
• 5 milioni di persone straniere regolarmente presenti in Italia di cui 1 su 7 nato in Italia (nel 2011 l’Istat ha affermato come sia positivo il saldo di nascite fra i migranti e negativo quello degli italiani)
• Circa 7700 presenze dei CIE
• Circa 8000 respinti
• Circa 16000 rimpatri
• Circa 21000 non ottemperanti
• Circa il 30 % delle presenze (In Italia) è di cittadini comunitari
• Circa il 24 % delle presenze (In Italia) è di cittadini non comunitari
• Circa il 22 % delle presenze (In Italia) è di origine Africana
• Circa il 18 % delle presenze (In Italia) è di origine Asiatica
• Circa l’8% delle presenze (In Italia) è di origine Americana
• 2,5 milioni sono gli occupati migranti presenti nel nostro paese (l’85 % è occupato nel settore dell’assistenza, il 33 % nel settore dell’edilizia ed il 10 % nel settore infermieristico)
• Tasso di disoccupazione è del 12 % a fronte del 8% italiano
• Il bilancio costi / benefici è di 1, 7 miliardi di euro
A fronte di questi numeri è bene porre in essere sia una riflessione personale che, a livello più esteso, sociale.
Va ribadita l’importanza del non discriminare, del non giudicare a priori e del non generalizzare e per questo motivo sarebbero utili iniziative di accoglienza e procedure di pari opportunità (vedesi il costo del permesso di soggiorno – circa 80€ - mentre la carta dì identità cartacea costa 5€), sarebbe auspicabile che venissero semplificate le procedure burocratiche, che ci fosse un recupero del sommerso (lavoro nero), che a livello politico ci fosse una programmazione adeguata dei flussi ed infine, che ci fosse un’apertura maggiore alla libertà di religione.
E’ importante ricordare, al termine di queste riflessioni, come l’Italia abbia un fragile sistema di accoglienza tant’è che il Tribunale di Stoccarda con sentenza del 12 luglio 2012 ha ritenuto «illegittimo rimandare in Italia un richiedente asilo, registrato inizialmente nel nostro paese, adducendo come motivazione il rischio di ricevere un “trattamento disumano e degradante”».
Siamo un popolo storicamente migrante, per questo motivo dovremmo ben comprendere l’importanza di un cambiamento a livello culturale che sia più inclusivo ed accogliente, senza dimenticare però le reciproche differenze che, stante quello che si potrebbe pensare, arricchiscono il nostro bagaglio culturale personale e ci permettono di confrontarci con quello definito “diverso”.
Chiara
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