mercoledì 16 ottobre 2024

Tutto chiede bellezza (semi Cit.)

 Sono giorni tremendamente difficili.

Ho una nostalgia galoppante che, a volte, è in grado di lasciarmi senza fiato e tremante.
Ho alcuni sensi di colpa che arrivano a fare capolino e mi tritano l'anima.
Ho un appiattimento che non so descrivere, che mi disarma, che mi spegne e che mi contagia.

Però...

Però...Però "qualcosa" sopravvive, resiste e quando riesce lancia urli sonori, impossibili da ignorare.

Ho cercato di capire cosa fosse. Ho chiuso gli occhi e "respirato lungo", "calma, Chiara, calma".

E' un amore, è l'amore verso la mia Professione, alla quale devo e dovrò tanto.

"Dimmi Biraghi, cos'è la bellezza per te?" - domanda a bruciapelo!!

Si ricollega a quell'amore, a quella profonda dedizione e riconoscenza che ho verso i libri che mi circondano (e che piano piano stanno aumentando...LM), che ho verso i tanti colleghi che hanno incrociato la mia via e mi hanno permesso di essere chi sono oggi, che ho verso le storie di vita che ho avuto la fortuna di poter toccare con mano e dover sorreggere per poterle accompagnare.

Cos'è la bellezza, allora?

Oggi, dopo questi giorni, oramai mesi dolorosi e faticosi, posso dire che la bellezza è "quella cosa mi fa star bene, talvolta effimera, talvolta concreta. E' il mio percorso, non terminato, ma appena iniziato. E' il mio lavoro ed è quell'energia che l'amore prova a spingere. E' una relazione scritta bene, è leggere "la tua assistente sociale" da una collega in una mail a una mamma, è il crederci ancora ed è il supporto che ricevo senza chiederlo. Perché la bellezza sta proprio lì, in quello che arriva senza chiedere, forse perché in precedenza si è dato senza che ci fosse chiesto. E' la reciprocità".

Guardo qualche appunto, un video ripreso in Senato, i nuovi tre libri da studiare, le bozze di progetto e gli occhi di chi incrocio ogni giorno e respiro di nuovo lungo. 

Non so se ho imparato qualcosa da chi mi ha regalato tanto credendo in me, so che cosa ho promesso  "bellezza" e non "appiattimento".

Chiara


Immagine creata con IA



domenica 23 giugno 2024

Guardare indietro per ricordare, guardare avanti per costruire

"Ciao Ombre!"

"Ciao bella!"

Che fortuna ho avuto: poter alzare il telefono ogni volta io avessi bisogno, desiderio o necessità e avere te dall'altra parte.
Nella mia casella di posta elettronica conservo ancora mail che risalgono a più di 10 anni fa, sono di ASit, ma non solo.  Una di queste è proprio una mia mail: "Oddio sono emozionata!! La prima cosa che ho pensato è stata: giro la mail ad Ombretta!!".

Sta tutto qui: tu c'eri, ci sei sempre stata, in ogni momento bello o brutto dei miei giorni. 

E ci sei.

L'ho detto a tutti, sono circondata da ciò che sei stata per tanti di noi, assistenti sociali e non solo. 

Ho tuoi scritti, sapiente guida.

Ho i tuoi libri, saggi consigli.

Ho alcuni tuoi oggetti, dai più semplici, come scatole, a quelli più significativi come il quadro dell'om ॐ 

Tramite un'amica mi avevi fatto arrivare il messaggio "non piangere". Non riesco e non so per quanto ancora non riuscirò a dare seguito, ma sappi che, giorno dopo giorno, sto cercando di centrarmi. 

Ci provo al mattino quando non ho nessuna intenzione di arrendermi a quello che vedo e ricordo le tue parole: "calma!";
ci provo la sera quando potrei alzare il telefono e attaccare uno dei miei "pipponi" e ricordo le tue parole: "smettila di farti seghe mentali";
ci provo quando scopro qualcosa e non ti scrivo, ma ricordo le tue parole: "hai capito come?".

Chissà se ho davvero capito, ma quello che so per certo è che un grande debito nei tuoi confronti e non posso nasconderlo sotto il tappetto, posso solo cercare di sdebitarmi portando avanti quello che stavamo facendo, quello che mi hai chiesto di fare e quello che volevi che io facessi.

Ho iniziato, eh! 

Questo piccolo blog è merito tuo, tanti dei miei successi sono merito tuo, la professione che amo (e che tanti di noi amano, anche grazie a te) ti deve tanto.
Proverò a crescere e a spiegare le ali, come mi avevi qualche tempo fa. Era il momento.
Io, non lo nascondo, ho paura, ma ci sto lavorando su. 

Dunque, Ombre, grazie sempre per avermi accompagnato per tanti anni, con pazienza, con fermezza, con entusiasmo e, soprattutto, con attenzione a chi ero e a chi, piano piano, stavo diventando. Oggi ho messo a posto mezza casa per riuscire a fare spazio nella mente, per nuovamente centrarmi e per tornare a scrivere, non solo qui.


"In queste scarpe

E su questa terra che dondola

Dondola dondola dondola

Con il conforto di

Un cielo che resta lì

Mi sto facendo un pò di posto

E che mi aspetto chi lo sa

Che posto vuoto ce n'è stato ce n'è ce ne sarà

Ho messo via un bel pò di cose

Ma non mi spiego mai il perché

Io non riesca a metter via

Riesca a metter via

Riesca a metter via te"



sabato 18 maggio 2024

Come un elefante in una cristalleria...

Ho avuto l'occasione, in questi giorni, di riflettere sul silenzio.

Il Che diceva: "il silenzio è una discussione portata avanti con altri mezzi”.

K. Gibran ha scritto: “la realtà dell'altro non è in ciò che ti rivela ma in ciò che non può rivelarti. Perciò, se vuoi capirlo, non ascoltare le parole che dice, ma quelle che non dice”.

Ed è da queste due riflessioni che voglio partire, o meglio sono partita.

Mi sono trovata, sovente, a non parlare, a stare in silenzio. A osservare. A guardarmi attorno. A cercare di capire cosa stava accadendo e se valesse la pena aprire bocca e rompere, così, il silenzio, oppure no.
In quelle situazioni è anche accaduto che venissi anche "accusata" di non avere spina dorsale perché non in grado di "tenere testa".
In altre, invece, ho visto rompere il silenzio con così tanta indelicatezza che mi sono sentita in colpa per chi, senza filtri, ha deciso di far rumore. 

Sì, rumore. Caos. 

Sono giunta, quindi, alla conclusione che il silenzio fa paura, spaventa, può creare timore. Come quei mostri dei film di fantascienza, informi, che aspettano dietro la porta. 

Il silenzio, invece, è così prezioso. E' così puro.

Nel silenzio è possibile osservare, creare una connessione, lasciare spazio e dare, così, rispetto a se stessi, oppure all'altro. 

Il silenzio non sempre è difesa.
Il silenzio non sempre è chiusura.
Il silenzio non sempre è dolore.
Il silenzio non sempre è solitudine.

Con il silenzio non sempre stiamo dicendo di non voler parlare o di non essere in grado di farlo. Il silenzio è una forma di comunicazione così potente e così multi sfaccettata che non si può non essere capaci di maneggiarlo. Come ha detto F. Caramagna: "le parole si parlano, i silenzi si toccano". E se i silenzi si toccano, allora, dobbiamo fare attenzione a non romperli, ma a saperli tenere in mano con grazia e delicatezza.

Restituire il senso.

C'è un tempo per tutto! Lo sentiamo dire così tanto che dovremmo averlo imparato, invece, temo proprio che non sia così.
Spingiamo a parlare. Chiediamo che siano date spiegazioni. Interrompiamo mentre l'altro parla, oppure riflette, scrive o...sta in silenzio.

C'è tempo per la parola e c'è tempo per il silenzio. 
Abbiamo bisogno di entrambi, come del giorno e della notte. 

Riuscire ad abitare il silenzio non è cosa da poco, ci vuole allenamento, è faticoso e talvolta vien voglia di arrendersi e avere rumore attorno a sé. Perché il rumore riempie, il silenzio invece sembra svuotare le ore, i minuti che passano. 
Il ticchettio dell'orologio, per esempio, per me è fastidioso.

Chiudo, rubando ancora le parole, forse per mettere in ordine, o forse confondere:

"Vivo un eterno paradosso
Un introverso fermo e con i fari addosso
E non affondo
Ora so nuotare a dorso
Lascio l'abisso alle mie spalle
Vago nel panta rei"


Silenzio - Immagine creata con IA




domenica 25 febbraio 2024

"Non è vero ragazzo che la ragione sta sempre col più forte" R. Vecchioni - Sogna ragazzo sogna

“I giovani non hanno bisogno di sermoni,
i giovani hanno bisogno di esempi di onestà, di coerenza e di altruismo.”
S. Pertini - Discorso fine anno 1978


In questi giorni, sarà per coincidenza, sarà di no, mi confronto sovente con persone, le più diverse, sullo stesso argomento: i giovani e il domani. I figli e il futuro.

Sento frasi del tipo: "No, ma io non posso pensare di mettere al mondo un figlio che cosa gli offro?", "che mondo lasciamo a 'sti ragazzi?", "i giovani e i bambini in carico oggi ai servizi sociali saranno gli adulti di domani, che ne sarà?", "non c'è futuro!", "non c'è speranza" e... potrei andare avanti ancora.

Quello che mi ha profondamento colpita, però, è il racconto di una mamma che mi ha raccontato di quanto suo figlio ha subito a scuola e delle dichiarazioni che ha fatto dopo il bullismo e le cattiverie gratuite ricevute. Il desiderio di farla finita.
Questo post, però, non è legato al bullismo, è legato a quanto i bambini, i ragazzi e i giovani di oggi, futuri adulti di domani, abbiano bisogno. Ossia di essere cresciuti, accompagnati, indirizzati, sostenuti, ascoltati, riconosciuti e compresi.

Da tutti.
Da tutte le istituzioni.
Da ogni adulto.

Le immagini di Pisa, aberranti, cariche di cattiverie e oscurità, sono la chiara dimostrazione di come il forte desiderio di essere, di esprimersi e di voler essere riconosciuti e ascoltati venga, letteralmente, oppresso. 

Un uomo armato di manganello contro un uomo disarmato.
Studenti con in mano una bandiera contro agenti di polizia armati di manganello

A cosa serve tutto questo?
A cosa serve reprimere un corteo di giovani e studenti con delle armi?
Che cosa abbiamo insegnato e che messaggio è passato?

Paura. 
Violenza.
Repressione.

E' di questo che abbiamo bisogno?

Abbiamo bisogno di teste pensanti che hanno il diritto a esprimere un pensiero senza dover temere di finire in ospedale!

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha dichiarato: «L’autorevolezza non si misura sui manganelli. Usare i manganelli con i ragazzi «è un fallimento». Ecco più cristallino di così! 
Sono necessari esempi e sono necessarie figure autorevoli che, però, non incutano timore, ma fiducia. Questo concetto è ben espresso dalla mamma di Federico Aldrovandi a "Muschio Selvaggio" quando, con commozione ed evidente dolore, si rimprovera per non aver messo in guardia il figlio: «Dovevamo insegnargli che si deve avere paura della polizia». In questa forte provocazione, o presa d'atto di quello che è accaduto, il concetto è ancora più forte. E' davvero questo quello che dobbiamo spiegare ai nostri figli e ai giovani che si affacciano a vivere la vita?

Cosa possiamo insegnare ai nostri figli?

Cosa lasciamo ai giovani?

Che esempio possiamo essere per loro?

Interroghiamoci, con un forte senso di responsabilità, su quanto è accaduto.

Concludo con le parole che esprimono lo sconcerto del Rettore dell'Università di Pisa, Riccardo Zucchi che potete leggere qui


Chiara


Immagine creata con IA




venerdì 26 gennaio 2024

I colori del "kàmptein" - dal rosso al verde "I must be on my way"

"All things must pass

none of life’s strings can last

so, I must be on my way

and face another day "

G. Harrison - 1970

Non scrivo da tempo, ma è da tanto tempo che penso di farlo. 
Vero! Non l'ho fatto e lo faccio solo adesso, ma è così che è andata. 

Scrivo perché sono accadute così tante cose e ho bisogno di trovare, fra di loro, un filo rosso comune.
C'è, eccome se c'è. 
L'ho trovato.

E' un filo rosso che nasce Carminio, prosegue Valentino e poi Scarlatto

E' un filo bagnato di lacrime, lacrime copiose e dolorose.

E' un filo coccolato da abbracci e baci intensi.

E' un filo a tratti spezzato e in quei tratti il rosso è Mogano; si è spezzato perché, forse, il coraggio è venuto meno, o forse, perché quel coraggio ha avuto la forza di curvare, spezzare, di tranciare e lasciar andare. 

E' un filo forte, sicuro alla base, sulla quale cammino e mi riconosco. E' rosso Cremisi.

Questo filo che accomuna è il mio cambiamento

Cambiamento...una parola che noi assistenti sociali sentiamo fin dai primi giorni della nostra formazione.
Temo, però, che non ci soffermiamo abbastanza a riflettere sul suo significato e non lo svisceriamo, o ancora non ne facciamo esperienza.

Avete mai provato a lasciare la vostra zona sicura, quella chiamata comfort zone
No, non intendo cambiare strada per andare a lavorare, oppure modificare l'orario di sveglia mattutina per fare due esercizi perché, bè, il nostro personal trainer tik-toker così ci dice di fare.

Uscire dai confini della zona sicura significa perdere l'equilibrio e vedere quel Carminio intorno a sé, bè diamine se fa paura!!
Lì nascono domande, domande profonde ed esistenziali. 
Lì nasce anche, in parte, un senso di colpa.

Da quel barcollare, allora, è importante trovare un orizzonte, avere attorno chi quell'orizzonte lo rende chiaro e nitido e non è sempre così scontato.

Noi abbiamo risorse, abbiamo amici, parenti, conoscenti e anche "nemici" che ci aiutano a delineare l'obiettivo, ma tutti sono così fortunati?
Le persone che accompagniamo sono così attrezzate? Oppure sono sole, mal consigliate, impaurite e quella comfort zone resta quello che loro conoscono e non vogliono assolutamente sentire parlare di "cambiamento"?
Chi siamo noi per dire loro di uscire da quella comfort zone?

La zona sicura non deve per forza essere modificata del tutto, a volte va collocata altrove, o solo rimessa in carreggiata, ed ecco che noi possiamo essere davvero buoni accompagnatori e lo saremo ancora di più se facciamo esperienza di quel barcollare.

Ho perso l'equilibrio, le parole (come canta il mio buon vecchio Liga) e qualche certezza quotidiana, ma sono avvolta da Cremisi.

Il complementare del "rosso" è il "verde" che è il mio colore preferito. Quell'orizzonte è verde Smeraldo ed è là che devo tendere.

Chiara
Immagine creata con IA