Tutti sanno cosa è accaduto in Sardegna in questi giorni, ci sono fotografie, video, nei salotti televisivi se ne parla, nei telegiornali passa il numero dell'iban per inviare un aiuto a quella (nostra) terra completamente distrutta.
Voglio, però. per una volta utilizzare dei numeri (fonte: Corriere della Sera), in questo caso rendono più delle parole:
16 morti;
4 bambini;
1 disperso:
2.737 gli evacuati:
in 24 ore caduta la pioggia di 6 mesi;
Di fronte a questi numeri cosa è possibile dire? A me, sinceramente, mancano le parole. Ascoltavo, oggi, una trasmissione, dove una scrittrice diceva che di fronte a tutto questo sono necessari gli abbracci, adesso è il tempo degli abbracci, poi ci sarà il tempo della rabbia, dell'incredulità e così via, ma adesso è il momento degli abbracci.
Non mi trova molto concorde, no!
E' il momento degli abbracci?
Ho visto immagini che mi hanno stretto lo stomaco, spaccato il cuore e fatto venir voglia di passare attraverso lo schermo del televisore, ma non per abbracciare, ma per aiutare quelle persone che sono smarrite di fronte al disastro.
Con un abbraccio non porto via il fango e le macerie, con un abbraccio - adesso - purtroppo non risolvo nulla. Ci vuole concretezza e che i 20 milioni di euro stanziati dal Governo arrivino in tempi brevi e siano utilizzati per sistemare questa terra.
Ogni anno c'è una città colpita, da Genova a Sarno, l'Italia non è indenne a queste catastrofi, lo sappiamo bene, ed ogni anno vedo lo stesso geologo che dice in televisione, quasi sconsolato: «è necessaria la prevenzione, i sindaci devono monitorare il proprio territorio, si devono rispettare i letti dei fiumi, non si deve costruire abusivamente e poi condonare». Lo ripete, un pò in Rai, un pò in Mediaset, però non funziona, pare che il messaggi non passi e - forse - non passerà mai.
Questo post, però, lo voglio dedicare a Pietro (conosco solo il nome), una voce al telefono oggi su Rai 1.
Pietro, un soccorritore disperato, che ha detto queste parole: «Non ho potuto fare di più, fossi stato più forte li avrei salvati», stava cercando di mettere in salvo un papà ed un bambino, ma non è riuscito nell'impresa.
Si rimproverava per questo.
Ha provato, con tutto se stesso e le sue forze!
Mi ha colpito la sua voce rotta dai singhiozzi e mi ha distrutto l'anima il suo non darsi pace.
E quando tutto sarà (se mai sarà) tornato alla normalità ci potremo abbracciare, e sarebbe ancor meglio potersi abbracciare perchè abbiamo deciso di rispettare il nostro paese, di far tesoro delle parole degli esperti, perchè in qualità di governanti abbiamo il coraggio di prendere decisioni anche contro corrente, che non fanno scalpore e non mettono in mostra, ma che tutelino tutti noi e la nostra terra.
Chiara
Benarrivati sul mio blog. Questo spazio è dedicato alla mia versione del lavoro e del servizio sociale.
Credo che pensare socialmente sia un buon modo per accorgersi del mondo che ci circonda.
mercoledì 20 novembre 2013
mercoledì 6 novembre 2013
Altri pensieri...fra i pensieri
...è una di quelle giornate infinite. Dove il tempo sì passa, ma non si capisce bene se passa troppo in fretta o scorre troppo piano. Guardi l'orologio e ti stupisci dell'ora che stai leggendo, perchè hai già fatto così tante cose che non ti sei accorto del tempo che è passato, ma ne resta ancora così tanto e, forse, vorresti che sia già ora di andare a dormire.
Chiudere il mondo e riprendere se stessi fra le braccia.
Accade, però, l'imprevisto o gli imprevisti.
Esci dalla macchina ed inizia a piovere e sei senza ombrello. Trovi quasi tutte le vie della città chiuse per i lavori in corso per arrivare a destinazione, quella destinazione. Non c'è un colpevole, forse il destino? Sarebbe troppo semplice.
Si affronta ogni tassello, ma uno alla volta.
In circolo adrenalina, stanchezza e fame.
Non hai tempo di dedicarti alle tue necessità, perchè prima vengono quelle di altri, quelle dei «poveri disgraziati, Chiara, inutile da dire siamo dei poveri disgraziati. Se ci troviamo qui è perchè siamo quello!»
Devi essere testa, cuore, corpo e mente. Al 100% non sono "ammessi" errori.
Quando stai prendendo il ritmo senti un rumore, una botta decisa, come se qualcuno avesse sbattuto. Eh sì, ha davvero sbattuto.
Barcollando, una persona, ha preso in pieno una porta.
Mi affaccio per sincerarmi che tutto sia a posto, nessuna ferita o altro. Niente di grave, ha ammortizzato lo zaino.
Quest'uomo mi vede, a passi pesanti mi si avvicina ed in una frazione di secondo mi si butta addosso, stanco, distrutto, ubriaco ed arrabbiato col mondo. 110 kg addosso.
L'istinto che ho avuto è stato quello di parere il colpo, con la forza delle braccia ed i palmi delle mani ben aperti, sollevarlo e cercare un appoggio al muro. Non stava in piedi.
Sul momento, in preda all'istinto di sopravvivenza, non ho pensato a cosa poteva significare quel gesto.
Dopo ho riflettuto e, sebbene non potessi fare altro, mi sono domandata che rimando o che immagine ho dato.
"Togliti", "spostati", "non mi toccare".
Non era quello, solo che i miei 65 kg scarsi non erano in grado di sostenere un peso "morto" e non era comunque corretto, ma avrei potuto o dovuto fare diversamente?
...ancora. «Signorina, ma io per una questione legale internazionale non posso accettare abiti che non sono miei!"»
Attorno a me ed a questa signora altre persone che, come noi, sentivano l'odore di questa donna. Un luogo chiuso, dove la convivenza è forzata e come regola c'è: farsi la doccia e che fare se non spiegare quanto sia importante fare una doccia (col bagno schiuma ed acqua calda) e dopo mettersi abiti puliti e stirati?
Non potevo insistere sul prendere o meno gli abiti, ognuno ha la propria libertà di scelta.
Gli occhi persi nel vuoto, un sorriso triste ed il viso (come le mani) martoriato. I capelli grigi, un ombrello rotto e vestiti che, per usare un'espressione comune, "stavano in piedi da soli".
Mi parla, mi segue, mi cerca. Le parlo, le sorriso, la incoraggio.
Talvolta il discorso è lucido, in altri momenti è ai limiti del ridicolo.
Tutto ha un suo perchè.
Tutto ha un suo perchè.
«Chiara vieni qui accanto a me che ho davvero male!»
Mi avvicino, noto i segni di un incidente passato. Gli involontari movimenti del viso e delle labbra. La sigaretta stretta fra le dita, «sono preoccupata. Non so dove andare e fra poco mi scade la permanenza! Dove vado? Io non ho mai dato problemi, aiuto e pulisco!».
La promessa, perchè questa potevo farla, di riportare la sua preoccupazione nel luogo opportuno. Non ho promesso il falso, nè ho promesso una soluzione immediata.
Diamo sempre un dato di realtà.
Quella sera il mondo mi ha voluto mostrare qualcosa, insegnarmi qualcosa e farmi dare qualcosa.
Ho fatto del mio meglio e nelle orecchie le parole di un signore di 50 anni appena uscito dalla Casa Circondariale: «Siamo ottimisti, non abbiamo più nulla da perdere!».
Gli ho risposto: «Vero, S., e chi ci ammazza??»
Chiara
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