Dipèndere: dal latino dependère e significa "essere in necessaria relazione".
Essere in necessaria relazione
In questi giorni di "riposo forzato" come lo hanno definito alcuni, mi sono trovata di fronte a una nuova sfida; una sfida per la quale non mi sono preparata e non ero pronta ad affrontare. Non ero pronta ad essere in necessaria relazione.
E' una situazione, una condizione che - ad oggi - posso affermare che viene sovente sottovalutata, sia che riguardi noi stessi, sia - soprattutto - se riguarda l'altro.
Io per prima avevo sottovalutato l'impatto che un'operazione al piede (che credevo più semplice) potesse portare; ho sbagliato e tanto.
Non sono più completamente autonoma, i miei ritmi sono condizionati sia dal dolore che provo, sia dalla presenza o dall'assenza di qualcuno accanto a me; non mi alzo quando e come voglio, non corro, non ho la stessa resistenza fisica di prima e così via.
Se provo dolore: mi devo fermare.
Se mi gira la testa: mi devo fermare.
Se ho bisogno di qualsiasi cosa: devo chiedere aiuto. Certo ho modificato l'ambiente intorno a me per essere il meno richiedente possibile, ma l'ovvio è: dipendo.
Un'amica mi ha chiesto: "cosa ti dà più fastidio: il dolore o l'immobilità?"
Ahimè il dolore, in qualche modo, lo si può gestire, la temporanea immobilità no. Sono condizionata e devo rispettare i tempi del mio corpo, allo stesso tempo, però, anche quello degli altri che mi stanno accanto.
E' difficile da spiegare, ma sicuramente ancora più difficile da vivere.
Siamo così abituati a correre, camminare, saltare, muoverci quando e come vogliamo, a soddisfare i nostri bisogno immediatamente: a essere indipendenti. Quando, però, anche solo una cosa viene meno ci troviamo spiazzati, ed è così che mi sono sentita.
Da qui una riflessione che da qualche giorno mi accompagna: nella mia realtà quotidiana quante persone incontro che si trovano in questa situazione? e quante in situazioni peggiori?
Ecco sono loro che meritano la mia attenzione e il mio rispetto, loro e i loro parenti, i loro care giver.
Senza voler fare paragoni, ma solo una riflessione: penso ad una persona che non può più muoversi, ma è lucida, lucidissima. E' uomo, giovane, con la vita davanti e la sua famiglia accanto. Ora: la sua condizione lo ha privato di qualsiasi cosa, tranne della sulla capacità di pensare, di capire, di desiderare e di essere riconosciuto come uomo.
A noi operatori un compito, non solo quello di fare un ottimo progetto di aiuto e sostegno a domicilio ma, quello di capire che - forse - l'ultima cosa che avrebbe voluto era quella di dover dipendere da tutti e che abbiamo il dovere di non ridurre l'intervento a un "fare", ma a un intervento rispettoso della sua persona, che lo valorizzi e che coinvolga la sua famiglia per evitare che "la necessaria relazione" si trasformi in un fardello che potrebbe aggravare un condizione così difficile.
Forse è banale, forse io ero a dare per scontate una serie di elementi.
Ora non più.